La figura di fra’ Benedetto di San Nicolò e di fra Liborio da Manduria
Tra gli elementi che accomunano due centri geograficamente distanti come Manduria e la città laziale di Alatri, oltre alle mura ciclopiche, testimonianza di civiltà italiche preromane (quella messapica in un caso e, nell’altro, quella ernica), vi è la figura di un religioso scolopio che prestò la sua opera di valente architetto in entrambe le località ed ebbe i natali nella nostra cittadina.
Si tratta di fra’ Benedetto di San Nicolò, al secolo Benedetto Margarito (o Margherito), nato a Casalnuovo (Manduria), che il Librone Magno delle famiglie mandurine, alla colonna 670, indica come figlio di Gregorio e Domenica Covello di Pietro, primo di cinque figli (gli altri sono: Lucia, Solerzio, Filippo e Bonaventura) per il quale riporta l’annotazione: “Religioso converso scuolopio” (1).
Il merito di avere riscoperto e tolto dall’oblio il nome di questo eccellente architetto va alla studiosa Vita Basile che, sebbene sembri ignorare le origini mandurine del frate, ne ha però ampiamente illustrato l’attività in una sua interessantissima opera dedicata al feudo della famiglia Imperiale (2), descrivendo il contributo dato dallo stesso allo svecchiamento ed all’innovazione dei linguaggi artistici ed architettonici presenti nel territorio governato dalla nobile casata genovese.
Sembra infatti certo che il frate Benedetto abbia fornito la propria opera di progettista e direttore dei lavori, su incarico degli Imperiale, in importanti cantieri della nostra zona.
Tra questi occorre citare, innanzitutto, quello della Collegiata di Francavilla Fontana (Chiesa Madre dedicata a S.Maria della Fontana) nel quale contribuì alla riedificazione della costruzione avvenuta negli anni 1743-1759, sulle rovine della precedente distrutta dal terremoto del 1743. La notizia della presenza del frate, insieme al maestro muratore mandurino Giuseppe di Lauro, nel cantiere della Collegiata di Francavilla è riportata dallo storico locale Pietro Palumbo: “A questo inconveniente andò incontro un architetto napolitano che disegnò per volontà del Principe la nostra Chiesa. Lontano , senza alcuna conoscenza del logo, tratteggiò a capriccio , se pure non copiò da qualche manuale d' Architettura un frontespìzio alto, maestoso atto a star bene in una piazza, ma non lungo una strada non ampia ma delle più anguste, fiancheggiata da due altre stradelle angustissime e fangose. Né potevasi scegliersi altro luogo, era qui che si scoperse l’immagine miracolosa conservata per tre secoli. Che all'Artista fossero mancati questi suggerimenti o che non 1' avesse ascoltato prevedendo che il luogo si sarebbe allargato dopo qualche tempo il certo è che Giuseppe di Lauro e Fra Benedetto delle Scuole Pie eseguirono il disegno venuto da Napoli”. (3).
Sempre nello stesso centro, si occupò della progettazione e dell’edificazione della cupola della chiesa di S.Sebastiano
A Massafra, feudo acquistato dagli Imperiale nel 1636, l’architetto mandurino progettò il convento e, presumibilmente, la chiesa delle Benedettine e ne diresse i lavori, mentre pare che abbia partecipato anche ai lavori per la costruzione della chiesa e del convento degli Agostiniani.
A Manduria (Casalnuovo) sua patria, il frate prese parte al completamento della fabbrica della chiesa e del convento del suo ordine (Chiesa delle Scuole Pie o dei Santi Pietro e Paolo, attualmente Madonna del Carmine) e, ancora, progettò e realizzò la facciata della chiesa delle Benedettine (S.Benedetto) che, stilisticamente, richiama quella di Massafra. Inoltre, pare che abbia anche operato nel cantiere del nuovo palazzo della famiglia feudataria (Palazzo Imperiale).
Rilevante è comunque il fatto che si deve all’opera di questo brillante architetto l’effetto di avere favorito l’introduzione di nuovi stili e motivi architettonici che produssero una rottura con la tradizione del barocco leccese, il quale, invece, venne a perpetuarsi nel resto della provincia di Terra d’Otranto.
In tal modo, si delineò la particolarità degli stili architettonici presenti a Manduria (e negli altri centri del feudo della famiglia Imperiale), i quali si contraddistinguono, rispetto alle altre località del Salento, per le loro peculiarità: a ciò, senz’altro, contribuì l’apporto di nuovi linguaggi, appresi dal frate scolopio con la frequentazione degli ambienti romano (specificamente quello borrominiano) e napoletano.
Sempre il citato frate Benedetto avrebbe operato in diversi altri centri italiani tra cui: Scanno, Posillipo, Gaeta, Caravaggio, Pieve, Castelnuovo di Farfa, Benevento.
Ma una delle opere più rilevanti del frate architetto è quella che egli realizzò per la cittadina laziale di Alatri (Frosinone), ossia la chiesa degli Scolopi.
L’edificio sacro, da lui progettato di sana pianta, fu realizzato tra il 1734 e il 1745 ed è dedicato allo Sposalizio della Vergine. Realizzato in travertino romano riprende e reinterpreta autonomamente motivi borrominiani, con una facciata ripartita su due piani delimitati ai lati da doppie paraste di ordine tuscanico, timpano mistilineo, unico portale centrale e finestrone sovrastante. Due sezioni laterali, con quattro finestre ciascuna in sequenza verticale, completano il prospetto, mentre la pianta dell’interno è a croce greca, con cupola impostata all’incrocio dei due bracci.
Tale capolavoro architettonico dovuto al genio creativo dell’architetto mandurino, ha sempre suscitato, in varie epoche, l’interesse e l’apprezzamento di molti studiosi.
Infine va detto che, a seguito di miei personali approfondimenti ho appurato che il frate calasanziano avrebbe operato anche in Napoli, nella Chiesa e nel collegio di S.Maria del Caravaggio, complesso già appartenuto all’ordine dei Barnabiti e poi passato agli Scolopi, dove “dopo il sisma del 1732 si resero necessari lavori di consolidamento, condotti probabilmente dal padre architetto Benedetto Margariti” (4).
E’ questa la chiesa a pianta ellittica, edificata tra il 1716 e il 1728, che la storiografia napoletana attribuisce al più celebre Giovan Battista Nauclerio, ma che ricerche condotte nell’archivio generalizio di S.Pantaleo, degli Scolopi, riconducono all’opera di un architetto dell’ordine, presumibilmente il noto fra’ Vito di S.Giovanni (al secolo Vito di Tonno) che fu l’artefice del progetto della nostra chiesa delle Scuole Pie. Al completamento della chiesa mandurina, caratterizzata da una pianta ovale simile a quella napoletana, come già detto lavorò anche il nostro frate Benedetto.
Voltiamo pagina e, dall’ordine degli Scolopi, passiamo a quello dei Cappuccini.
A quest’ultimo appartenne un altro capace architetto di origini mandurine: il religioso fra’ Liborio da Manduria (o da Casalnuovo), la cui opera, almeno in base alle conoscenze attuali, sembra dover restare circoscritta in ambito locale.
Infatti, il frate cappuccino, che morì in circostanze drammatiche a seguito di caduta in un cantiere, progettò e realizzò la chiesa del proprio ordine a Francavilla Fontana, intitolata allo Spirito Santo e, a quanto pare, anche l’antistante porta civica denominata dei Cappuccini.
La notizia è riportata dallo storico francavillese Pietro Palumbo il quale riferisce: “L' Architetto fu Fra Liborio da Manduria”, e nel precisare che “non vide compita 1' opera sua” indica le cause della morte del religioso: “… perchè narrasi che dimorando nell’ Ospizio di Oria , dove doveva trasformare la Torrella in camera cadde dall'altezza di quella e dopo poche ore sen mori e fu trasportato in Francavilla di notte sullo spalle d' alcuni terziarii non ostante la vigilanza del Capitolo di Oria che aveva messe le guardie per non farlo trafugare.” (5).
Ma, allo scopo di descrivere la ricchezza di fermenti artistici e culturali, oltre che di iniziative economiche, che caratterizzò la Manduria-Casalnuovo del secolo XVIII, oltre ai citati architetti, sarà opportuno soffermarsi anche sulle figure di alcuni maestri muratori che svolsero la loro attività in zona.
Parlando di frate Benedetto Margarito, ne abbiamo trovato il nome associato a quello del maestro Giuseppe Maria di Lauro, mandurino, la cui presenza è stata segnalata dal Palumbo per il cantiere della Collegiata francavillese.
Ma, a quanto pare il nome del nostro mastro muratore ricorre, sempre insieme a quello di fra’ Benedetto, per la costruzione del complesso delle Benedettine di Massafra, alla cui erezione avrebbe partecipato associandosi ad altri “mastri fabbricatori” in quello che oggi potremmo definire un’associazione temporanea di imprese (6).
Inoltre, si potrebbe ipotizzare una partecipazione di maestranze mandurine anche per la riedificazione del convento delle Clarisse di Taranto, avvenuta dopo il terremoto del 1743, il cui progetto fu sempre redatto dal solito frate Benedetto (7).
Già nel 1596, a conferma del prestigio di cui godevano nel circondario, è attestata la partecipazione dei maestri muratori mandurini alla gara di appalto per la fabbrica del medesimo convento (8).
E, in effetti chi come me conosce la struttura (trattasi dell’edificio sito nel largo della Cattedrale di S.Cataldo, che oggi ospita il Tribunale dei minori) avrà certamente notato che le colonne del primo chiostro, presumibilmente risalente al secolo XVI, sono, con la loro sezione ottagonale e i capitelli a fiore, stilisticamente molto simili a quelli del chiostro del convento dei francescani di Manduria. Che siano segno di un comune artefice?
Insieme a questo nominativo, per citarne altri, ricordiamo poi quello di Onofrio della Caita (o Lacaita), mandurino, che il Tarentini indica come il maestro muratore che costruì, su progetto del religioso domenicano padre Tommaso Manieri, zio del più noto Mauro Manieri, il Cappellone del Ss. Sacramento, annesso alla nostra Collegiata della Ss. Trinità (o Chiesa Madre) (9).
Oronzo Sbavaglia, indicato dallo stesso autore come artefice, per conto dell’Arciconfraternita della Morte ed Orazione, di un disegno di ampliamento della vecchia chiesa della Rotonda o della Madonna della Nova di Manduria (che sorgeva sul sito dell’attuale S.Lucia), rimasto però ineseguito (10). A quanto sembra, l’abilità di questi artigiani era ormai tale indurli a proporsi essi stessi come progettisti di nuove opere.
In ogni caso, in base al quadro appena delineato, non si condivide l’affermazione secondo cui “… i muratori locali di quel periodo” (n.d.a. secolo XVIII) non “dovevano avere abilità tali da poter ottenere la committenza dell’edilizia ecclesiastica e civile che richiedeva una conoscenza del mestiere ad un livello molto elevato. Per cui per lo più si ricorreva a maestranze forestiere” riportata in una pregevole opera dedicata alla civiltà del Settecento a Manduria. Tale argomentazione, ricavata dalla consultazione del catasto onciario (il quale non riportando per i “fabbricatori” rendite elevate sarebbe, secondo l’autore, indizio di una scarsa rilevanza della categoria professionale), a mio modesto avviso, è da rivedere alla luce di questi nuovi elementi, anche nel senso di non attribuire valore assoluto ai dati catastali (11).
Al contrario, dai dati emersi risulta con evidenza il ruolo attivo avuto dai nostri maestri muratori anche al di fuori dell’ambito cittadino.
A maggior ragione la conclusione può valere per i nostri architetti che, insieme ad altri forestieri, seppero introdurre nel feudo degli Imperiale, e a Manduria in special modo, una nuova espressione architettonica che tanto differenziò queste terre dagli altri centri salentini.
Se altrove imperversavano le ricchezze decorative ed i fasti del barocco leccese, qui, invece, in quella che era stata la città dei Messapi, dominata ancora (come Alatri) dai resti delle sue mura megalitiche, si affermava la sobrietà, la pulizia e la semplicità degli stili architettonici.
Del resto, proprio la possente presenza delle antiche mura ha fatto dire ad alcuni, allo scopo di spiegare quella che, rispetto al contesto generale, si configura come un’anomalia tutta mandurina:
“Non furono quelle murorum ingentes reliquiae, <ammonticchiate all’altezza di tre o quattro metri nell’ampia pianura> […] con la sola loro presenza dentro e fuori l’abitato di Manduria, l’ardente lezione che temprò negli artisti indigeni e forestieri una coscienza lapidea e quella forgiò a sensi di possanza asciutta e rigorosa, schietta ed impeccabile come una parola d’ordine o un sorso del vino di qui, che è ciclopico come le mura?” (12).
Giuseppe Pio Capogrosso
(1) Librone magno delle famiglie mandurine, manoscritto, Biblioteca Comunale “Marco Gatti”, Manduria (TA).
(2) Basile Vita, “Gli Imperiale in Terra d’Otranto – Architettura e trasformazioni urbane a Manduria, Francavilla Fontana e Ori tra XVI e XVIII secolo, M. Congedo editore – Galatina 2008.
(3) Palumbo Pietro, Storia di Francavilla Città in terra d’Otranto, Tipografia Cressati, Noci 1901.
(4) Ricciardi Emilio, I Barnabiti a Napoli: arte e architettura, pag. 73.
(5) Palumbo Pietro, op. citata
(6) Basile Vita, op.citata, pag.92.
(7) Basile Vita, op.citata, pag.92.
(8) Jacovelli Gianni, Manduria nel cinquecento, M.Congedo editore – Galatina 1973, la notizia è tratta da Coco Primanldo, Il monastero delle clarisse in Taranto, Taranto, III, 1934, 5-6, p.17.
(9) Tarentini Leonardo. (Ristampa anastatica, 1981), Manduria Sacra, ovvero Storia di tutte le chiese e cappelle distrutte ed esistenti dei monasteri e congregazioni laicali dalla loro fondazione fino al presente, Manduria, Antonio Marzo Editore, pag 113.
10) Tarentini Leonardo, op.citata, pag.162.
(11) Pasanisi Antonio, Civiltà del Settecento a Manduria, P.Lacaita Editore – Manduria 1992, pag.99.
(12) Paone Michele, Mauro Manieri a Manduria, pagg.75-76
(9) Le immagini riproducono: un chierico scolopio ed un laico cappuccino, entrambe sono tratte da Ferrari Filippo, Costumi ecclesiastici, civili e militari della Corte di Roma [MagTeca-ICCU] [materiale grafico] [Monografia] fonte: www.internetculturale.it; il Librone Magno delle famiglie Mandurine, famiglia Margherito, manoscritto c/o Biblioteca comunale M.Gatti di Manduria, in versione digitale su: www.internetculturale.it; la Chiesa degli Scolopi di Alatri (Frosinone); la Chiesa dei Cappuccini di Francavilla Fontana (Brindisi) vista dalla omonima porta; le colonne a sezione ottagonale del chiostro del Convento delle Clarisse di Taranto.