martedì 26 novembre 2024


05/12/2015 11:57:37 - Salento - Attualità

Negli scorsi giorni la Direzione distrettuale antimafia di Lecce ha fatto notificare otto avvisi di conclusione delle indagini all’attuale amministratore di Acquedotto Pugliese, Nicola Costantino, a due suoi predecessori, e a dirigenti ed ex dirigenti dell’azienda della Regione

 
Il sospetto è pesante: i fanghi di depurazione prodotti dagli impianti dell’Acquedotto Pugliese sono rifiuti speciali e dovrebbero andare in discarica, e non essere destinati allo spandimento nei campi. Per questo l’accusa ipotizzata è di concorso in smaltimento illecito di rifiuti.
Negli scorsi giorni la Direzione distrettuale antimafia di Lecce ha fatto notificare otto avvisi di conclusione delle indagini all’attuale amministratore di Acquedotto Pugliese, Nicola Costantino, a due suoi predecessori, e a dirigenti ed ex dirigenti dell’azienda della Regione. Che ora rischiano il processo.La vicenda nasce dal sequestro, effettuato nel 2014, dei fanghi trattati nell’impianto Aseco di Ginosa Marina, di proprietà della stessa Aqp. Secondo i consulenti della pm Elsa Valeria Mignone, che ha operato con il Noe di Taranto, quei fanghi trattati non sarebbero compost, ma rifiuti. E questo perché il sistema fognante, come ha ammesso la stessa Aqp con una lettera inviata un anno e mezzo fa a tutte le Procure pugliesi, è costellato di scarichi abusivi: cosicché ai depuratori, oltre che la fogna civile, recepiscono «reflui aventi origine industriale ed artigianale». E dunque, secondo l’accusa, il processo di compostaggio genera un fango «non conforme alla normativa per l’elevato contenuto di idrocarburi totali».
L’accusa riguarda i reflui trattati da tutti i depuratori gestiti da Acquedotto che conferivano i fanghi ad Aseco (Bari, Bisceglie, Barletta, Altamura, Monopoli, Santerano, Noci, Molfetta, Acquaviva, Gioia del Colle, Sammichele, Trani, Putignano, Conversano, Corato, Castellana Grotte, Canosa, Turi, Locorotondo, Alberobello, Polignano, Mola, Poggiorsini e Minervino): tra 2012 e 2013 l’impianto di Ginosa, tuttora fermo, ha prodotto 28mila tonnellate di fanghi l’anno. Secondo la Procura, nei fanghi prodotti da alcuni depuratori sono presenti «elevate concentrazioni di metalli (quali alluminio, ferro, magnesio, zinco, rame, mercurio e stagno)», e dunque non conformi ai parametri di legge. Una ricostruzione che Acquedotto - il cui ricorso al Riesame contro il sequestro è stato respinto - continua a ritenere non corretta: la Procura - ha spiegato Costantino - «ha utilizzato le nostre stesse analisi, che presentano valori perfettamente in linea con la normativa». Tanto che Aqp ha commissionato uno studio al Cnr per fare chiarezza.
Il problema di questa storia è soprattutto nelle sue conseguenze. Perché Acquedotto, la cui produzione di fanghi aumenta di anno in anno in conseguenza del numero di nuovi depuratori che vengono attivati, non sa più come fare. Non può «compostare» in Aseco e dovrebbe - seguendo ciò che dice la Procura di Lecce - portare i fanghi nelle discariche speciali, a costi astronomici (anche 150 euro a tonnellata). Allo stesso tempo, può - come sta facendo, portare i suoi fanghi negli impianti di trattamento del Nord, dove i fanghi di depurazione pugliesi continuano ad essere trasformati in compost e ad essere utilizzati in agricoltura.










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