Il conto finale per i farmaci nel 2015 ammonta a 408 milioni contro i 255 del 2014
Nel 2015 la Puglia ha speso altri 150 milioni in più per i farmaci ad alto costo, le medicine cosiddette «innovative» tra cui spiccano i biologici. Il conto finale ammonta a 408 milioni contro i 255 del 2014, con il solo farmaco per l’epatite C che è costato 139 milioni di euro. La cosiddetta distribuzione diretta ha assorbito, in pratica, il risparmio che si otterrà dalla chiusura di 4 dei 9 ospedali individuati dal piano di riordino.
Un’emergenza nell’emergenza, se si considera che anche nel 2015 la Puglia ha sfondato il tetto della spesa farmaceutica di 293 milioni, il secondo peggiori risultato d’Italia dopo la Sardegna. Ma quello della distribuzione diretta è un dato molto preoccupante, perché fuori controllo: con 2,2 milioni di confezioni di farmaci, per una spesa media (69 euro a confezione) tra le più alte in assoluto. Tutto questo mentre in farmacia è diminuito di 835mila il numero delle ricette, ma a fronte di un aumento di quasi il 5% della quota di compartecipazione a carico del cittadino: se si considera che dal 2011 al 2015 la spesa netta in farmacia è calata in Puglia di quasi il 12%, se ne ricava che si comprano meno medicinali ma li si paga di più.
L’allarme per i biologici rischia poi di diventare un disastro quest’anno, con l’arrivo di ulteriori farmaci che potrebbero pesare sulle casse regionali in maniera pesante. A ottobre sarà messo in commercio l’Alirocumab, un biologico per l’ipercolesterolemia che alla Puglia costerà altri 40-50 milioni.
«C’è un doppio problema - analizza il capo del dipartimento Salute della Regione, Giovanni Gorgoni. Primo, che i tetti di spesa vengono fissati in percentuale sulla quota capitaria che per le Regioni del Sud, e per la Puglia in particolare è molto più bassa del necessario in quanto non viene riconosciuta la deprivazione e la più alta incidenza di alcune patologie. Il vantaggio prospettico dell’utilizzo dei biologici, poi, non trova il corretto ristoro contabile in termini di costi cessanti». Il farmaco per l’epatite C eradica la malattia, quindi azzera il costo per il trattamento del paziente anno dopo anno: le Regioni chiedono di poterne tenere conto nei bilanci per alleggerire l’impatto della spesa.
I biologici hanno un impatto anche sulla spesa territoriale (quella delle farmacie) e dell’ospedaliera. Per mettere un freno, la Regione pensa a due approcci nuovi. «Primo, un approccio di diagnosi genica che consenta di stabilire in anticipo se il paziente ha i recettori giusti affinché un determinato farmaco biologico abbia efficacia. Secondo, una disposizione sul risk-sharing (le case farmaceutiche restituiscono parte del costo se la cura non ha effetto, ndr)».
E, ancora, una spinta sui biosimilari, gli «equivalenti» dei farmaci biologici, meno costosi, su cui è da tempo in atto una dura polemica con i medici.
Sullo sfondo c’è, però, un problema prescrittivo.
«È indubbio - dice Gorgoni - che in Puglia ci sia un livello di prescrizione più alta rispetto ad altre Regioni, e con costi più alti. Bisogna intervenire con campagne sull’appropriatezza. La Asl Bat ha cominciato una sperimentazione per gli antibiotici: una formazione mirata sui medici di famiglia ha prodotto in pochi mesi un calo di spesa di un milione e duecentomila euro». Ma ci si mettono anche le case farmaceutiche, con il fenomeno dello «shift»: le «nuove» molecole che saltano fuori alla scadenza dei brevetti, un sistema che serve a garantire i fatturati e non porta benefici al paziente.