Manduria ricorda … Le apparizioni dei defunti
L’evento luttuoso è in assoluto il più angosciante con il quale l’uomo si misura da sempre.
Gli antropologi configurano fenomeni come apparizioni e visioni di defunti come particolari situazioni psicologiche poste in essere in seguito alla perdita di una persona cara, nella condizione di angoscia tipica del periodo di lutto. Tali fenomeni che, in prima approssimazione, potrebbero sembrare di interesse psicopatologico, riguardano l’antropologia nella misura in cui essi, sebbene siano indubbiamente legati a disturbi della percezione, si esprimono attraverso modelli culturali derivati dalla tradizione dei singoli gruppi. Ciò significa che se disturbo psichico è vedere un oggetto immobile che cammina, al contrario vedere una schiera di morti in processione deve essere considerato espressione di un prototipo culturale legato all’immagine della morte, elaborato e trasmesso tradizionalmente da una determinata società.
Naturalmente tale modello agisce maggiormente durante una situazione come quella del cordoglio individuale, quando la perdita della persona amata impone in qualche modo un recupero affettivo della stessa, possibile ahimè soltanto sul piano delle apparizioni. Oltre a questo, è presente altresì un irrazionale rifiuto dell’evento morte, che nel mondo allucinatorio (il solo disponibile a scambi tra reale e immaginario) si finge non sia mai avvenuto.
Nella cultura popolare manduriana sono conosciuti diversi episodi che hanno per oggetto apparizioni di defunti. La fonte (Carmela D., all’epoca dell’intervista 86 anni) contestualizza il suo racconto con nomi di persone e di luoghi, giungendo all’amara considerazione che, probabilmente, oggi questi fenomeni non insorgono più a causa della nostra cattiveria: come dire che il Signore faceva scendere le anime dei morti in passato perché i vivi erano più buoni («srai ca prima erumu chiù bueni, li facìa scenniri lu Signori, mo simu cattivi»).
Il primo episodio ha per protagonista una sorella di Carmela la notte in cui la salma di un’altra loro sorella era nella camera ardente (è molto diffusa in paese la credenza, anche tra fonti anagraficamente più giovani, che la notte in cui la salma è ancora nella sua abitazione riceva in visita le anime dei trapassati, venute per accompagnare il defunto nel lungo viaggio. A questo scopo è consuetudine non chiudere completamente la porta della camera ardente, come anche lasciare la salma da sola per un certo periodo di tempo, favorendo così le speciali visite). Mentre riposava, verso mezzanotte, la sorella di Carmela venne svegliata da qualcuno che spingeva la porta della sua camera, a suo dire le anime dei trapassati che andavano a visitare la sorella defunta e che, verosimilmente, avevano sbagliato stanza: «la Pasana, requmaterni, puru è morta sorma otra, iabitava sobbra alla ianoa, allora si curcara ntra la cammara, stava nu picca scarassata e pia e faci na mossa cu la manu, apri, apri, cu apri la porta; srai ca erunu sbaiatu li muerti, inveci cu bonnu ddo sorma, an cocchi (…) ennara quani e feciara la manu, la manu ca spincìa la porta; sorma la Pasana ‘Mamma cce cos’eti? ci sapi ci eti’ (…) a menzanotti, sì, puei scera ddani, alla morta».
Un altro episodio è raccontato da Carmela in maniera molto circostanziata. Un uomo che abitava nella casa accanto a quella in cui era la salma di una giovane donna, essendo andato a dormire sui gradini fuori della sua casa (com’era consuetudine per i contadini dell’epoca che dovevano governare gli animali), vide una processione di anime che si recava a visitare la defunta: «tannu era iu lu Paranza e la muieri (…) allora si curcaunu sobbra allu scaloni cu curnaunu l’animali, cu nu saccu ti paja si curcaunu, e tici ca a ncocchi, sai ddo era? lu Tiguriu, a dda rretu abbitava questa cristiana e da ncocchi era morta na piccinna, e tici ca qustu stava curcatu ddani, stava, e tici ca pia e bbeddi lu papa cu lu campanieddu, cu Cristu, cu la prucissioni, tanta genti (…) e trasera tutti dda intra a sta porta ca ea morta sta giovani (…) pregaunu».
Presa ormai dalla voglia di raccontare, Carmela racconta di una ‘messa di morti’, episodio riferitole dalla viva voce del protagonista, il suo compare Tori. Era notte e l’uomo, che insieme ad un suo amico tornava a casa, vide il portone dell’attuale chiesa di San Leonardo socchiuso. Meravigliati, i due amici decisero di entrare. La chiesa era piena di persone sedute e vestite di nero, i cui corpi si presentavano, posteriormente, svuotati: «cumpà Tori, erunu giuini (…) a San Leonardu, giuini no, no sa ca si ccojunu la notti, tici ‘pi llai stai aperta Santu Lunardo’ e trasera, quannu scera cu trasera staunu tutti ssittati, tutti a gnuru, tutti acanti quani [indica le spalle], si mpaurara e si ni scera, erunu tutti muerti, stava chena chena Santu Lunardu, sta diciunu la messa, lu papa».
Di un’altra ‘messa di morti’ racconta la figlia di Carmela, la quale ricorda il caso di una donna che, di notte, avendo udito il suono delle campane che annunciava la Messa, si alzò e si preparò per andare in chiesa; qui vide un gran numero di persone il cui corpo era, posteriormente, completamente svuotato. Spaventatasi, vide avvicinarsi un suo compare defunto, il quale le intimò di abbandonare immediatamente la chiesa, perché quella messa non era adatta a lei, era una messa dei morti. La donna corse via, ma dallo spavento ebbe la febbre per un po’ di giorni e poi morì: «na cristiana senti la campana sunari, ah! Messa, allora pijou, si azzou, si istìu, si llavou la facci e si ni sciu a messa; non ci bbatou ca era na messa ti muerti. Sciu ntra la chiesa pia e beddi tanti cristiani ca erunu tutti acanti ti retu (…) pia e se bbicinatu nu cumpari e iè dittu ‘no iè messa pi tei questa, questa è messati muerti’ e si pijou ilenu, si mpaurou, li pijou la frei e morsi».
Alla luce di questi ultimi due racconti e tenendo presente il discorso sul condizionamento culturale sempre presente in queste dinamiche, è antropologicamente significativo il parallelismo che è possibile istituire con analoghi episodi rilevati dall’etnologo e folklorista Ernesto de Martino, il quale nella sua opera Sud e Magia parla della ‘messa dei morti’ come di «una allucinazione ricorrente nei villaggi lucani». Non solo, gli elementi in comune riguardano le condizioni di insorgenza del fenomeno (sempre di notte, dopo che si è sentito il suono delle campane, oppure mentre si va ad attingere l’acqua alla fontana), la dinamica (la chiesa aperta e gremita di persone posteriormente svuotate, il compare o la comare che avverte il malcapitato del tipo di messa e della necessità di andare via subito) e le conseguenze della visione (febbre alta per lo spavento, talvolta anche la morte).
Un ultimo episodio di apparizione di defunti è raccontato da Carmela. Apparentemente anomalo, perché avvenuto in pieno giorno, esso riguarda un contadino che viene aiutato a raccogliere i pomodori in un campo nei pressi del cimitero, e a sistemarli sulla bicicletta da tre giovani defunte, fra cui una cugina di Carmela: «quddu cristianu scìa cu la bicicletta, cu la cascia, cu ccojunu li pummitori e allora tissi ca si presentara tuttii ti biancu, cucinama la Sara e to carosi ca eunu muerti ti qua mmeru; è dittu ‘mo ti jutamu’ e lu jutara; è dittu ‘ca ci siti?’ — jù sontu la Sara Cuccarieddu, l’otri toi era fija allu Gnuricatu ca ticìunu una, l’otra no ssacciu, lu jutara, tutti cosi, e puei sciu cu si ozza e non c’erunu chiui e quddu cristianu tici ca li pijou la frei e stessi malatu».
Anna Stella Mancino