A Taranto sono i medici a consigliare ai pazienti di andare fuori provincia per farsi curare
Dolore e rifiuti, terapie e lunghe attese, “pullman della speranza” privati e inefficienze tutte pubbliche. Tutti i pazienti oncologici si somigliano per i livelli di sofferenza che devono affrontare, ma i pazienti pugliesi sono diversi perché, in molti casi, soffrono doppiamente. Lo dimostra il numero di ostacoli che sono costretti a superare per curarsi e la percentuale di pugliesi che vanno fuori regione per fare chemioterapia (il 31,2 per cento, ovvero 399, contro 878 ricoveri in ospedali pugliesi, secondo il Rapporto annuale sull’attività di ricovero ospedaliero del 2015).
È quello che succede nella radioterapia, per esempio. Abbiamo provato a calcolare i tempi di attesa previsti nei reparti pugliesi per effettuare trattamenti radioterapici. Ne viene fuori un quadro fatto di molte ombre nelle strutture pubbliche e qualche luce nel sistema privato. Le stesse ombre che ha dovuto superare Rosa, la casalinga di Bari che, come lei stessa ha raccontato a Repubblica nei giorni scorsi, è stata costretta ad andare a Palermo per fare radioterapia e curare il suo tumore al seno perché nei centri pugliesi aveva ricevuto solo rifiuti.
Rifiuti e criticità che gli stessi dirigenti dei reparti di radioterapia hanno raccolto in un report consegnato a febbraio al presidente della Regione, Michele Emiliano. In quel dossier si prospetta un piano di investimenti da 30 milioni di euro e vengono elencate anche tutte le difficoltà dei reparti pubblici. A cominciare dalla drammatica situazione in cui si trova Bari. Il viaggio nelle difficoltà dei pazienti pugliesi non può che cominciare da qui. Il motivo è nei numeri: in tutta Bari e provincia, che raccoglie un bacino di 1,2 milioni di persone, ci sono solo due acceleratori lineari, ovvero le macchine che effettuano trattamenti radioterapici. Sono quelle presenti nei bunker dell’Irccs Giovanni Paolo II. Macchine utilizzate solo sei ore al giorno.
Ecco perché tra la prima visita e il primo trattamento radioterapico qui occorrono anche 5 lunghissimi mesi. «Tempi enormi e vergognosi» denuncia il sindacalista Mimmo Losacco. Ma in realtà la città sarebbe fornita di altri due acceleratori lineari. Sono quelli acquistati dal Policlinico di Bari ormai più di due anni fa (la prima delibera risale al 2010) e posizionati all’interno di Asclepios 2, il padiglione da 18 milioni di euro che dovrà contenere oltre alla radioterapia anche la medicina nucleare e la criobanca.
Il direttore generale del Policlinico, Vitangelo Dattoli, spiega: «L’attivazione dei tre reparti deve avvenire contemporaneamente per una serie di problematiche tecniche. Cominceremo dalla medicina nucleare nei prossimi mesi. Ma sull’apertura della radioterapia preferisco non dare date». Adesso quegli acceleratori sono fisicamente montati in Asclepios 2. Il problema è sempre lo stesso: manca il personale. Lo stesso problema che attanaglia il reparto di radioterapia di Taranto, altro gravissimo caso regionale. Qui ci sono due macchine di vecchia generazione. I tempi di attesa per trattamenti programmabili sfiorano i quattro mesi. «La domanda aumenta — dice un medico del reparto all’ospedale Moscati guidato da Giovanni Silvano — questo spiega la migrazione. Un buon 20 per cento di tarantini in trattamento va fuori. Siamo noi a consigliargli di andare a San Giovanni Rotondo o in altre regioni».