Per il momento le chiusure restano otto e riguardano gli ospedali di Trani, Triggiano, Terlizzi, Mesagne, San Pietro Vernotico, Grottaglie e Canosa
Ci sono prima di tutto le chiusure. Se il piano di riordino non piace ed è stato bocciato per due volte in commissione Sanità del consiglio regionale pugliese, è anche per via dell'alto numero di ospedali pubblici che chiudono (e chiuderanno) i battenti. Se ne perdono per strada talmente tanti che da qui ai prossimi dieci anni saranno i privati a dominare la sanità in Puglia. Il piano, dicono i critici, sostanzialmente toglie al pubblico per dare al privato. Ci ha pensato Antonio Mazzarella, responsabile della Cgil Medici Puglia, a fare qualche conto: "Nella prima fase, quella da realizzare entro il 2017, avremo 31 ospedali pubblici e 31 privati. Ma nella seconda fase, che si concluderà nel 2025, avremo 21 ospedali pubblici a fronte di 31 strutture accreditate".
Una sproporzione a totale vantaggio delle cliniche private. Per il momento però le chiusure restano otto e riguardano gli ospedali di Trani, Triggiano, Terlizzi, Mesagne, San Pietro Vernotico, Grottaglie e Canosa. Chiusure che arrivano dopo quelle già avviate sei anni fa dalla precedente giunta Vendola, che aveva messo la parola fine su 22 ospedali sparsi in tutta la Puglia. Dunque il punto più critico del piano di riordino messo a punto dal presidente della Regione, Michele Emiliano, e dai suoi direttori dipartimento Salute (Giovanni Gorgoni prima e Giancarlo Ruscitti ora) e approvato dai ministeri della Salute e dell'Economia dopo alcune correzioni, riguarda proprio gli ospedali dismessi o riconvertiti.
"Gli ospedali piccoli sono pericolosi perché non consentono di effettuare volumi di interventi tali da garantire una maggiore qualità e sicurezza nelle cure", è la risposta di chi difende il piano, compreso lo stesso governatore Emiliano. Entro il 2017 però, prevede il piano, sono destinati a chiudere anche molti punti di primo intervento. Si tratta di poliambulatori (presenti all'interno di strutture ospedaliere) in cui lavorano decine di medici e infermieri. Questi rappresentano presidi per i singoli territori, ma risultano sottoutilizzati (nel punto di primo intervento di Minervino Murge si registrano 1.500 accessi all'anno, poco più di tre pazienti al giorno).
L'obiettivo è farne sparire 24 su 30, cioè quelli che non effettuano più di 6mila interventi l'anno. Gran parte si trovano in provincia di Bari (Polignano a Mare, Mola di Bari, Gioia del Colle e Casamassima, per citarne alcuni), altri in Valle d'Itria, Salento e provincia di Foggia. "Lo prevede il decreto ministeriale 70", è la risposta automatica che arriva dai corridoi della Regione. Il decreto 70 è quel documento cui si devono attenere tutte le Regioni, il regolamento che riorganizza tutta l'assistenza ospedaliera in Italia. Ma spariscono anche moltissimi reparti. Nel territorio di Bari il caso più eclatante è quello della Neurochirurgia dell'ospedale Di Venere. E non si tratta dell'unico caso.
Fra chiusure e accorpamenti, dice chi attacca il piano, non resta molto della sanità pubblica, anche perché nel frattempo non è stata potenziata la sanità territoriale, per questo i pronto soccorso scoppiano e nei periodi intensi a Bari non si trovano posti letto liberi. Alla base delle proteste e della bocciatura del piano, dunque, non ci sono solo motivazioni “localistiche”, come sono state bollate dal Pd regionale. È ancora una volta il sindacato a indicare le cose che non vanno, dalla mancata realizzazione della rete del trauma al rischio che gli ospedali di base e di primo livello non riescano a fare da filtro e evitare che gli ospedali di secondo livello siano intasati dai pazienti, fino al destino del Giovanni XXIII, che dovrebbe essere separato dal Policlinico.
"Con quella bocciatura in commissione viene sconfitto uno stile di governo prima che i contenuti - dice Tommaso Fiore, rappresentante di Sinistra italiana ed ex assessore alla Sanità nella giunta Vendola - La Puglia così com'è non può avere una ulteriore riduzione di posti letto per acuti". Fiore però non risparmia critiche neanche ai sindacati: "Erano partiti bene, ma hanno chiuso un accordo con la Regione che rinvia a tavoli successivi decisioni sulla spesa sanitaria da ridurre e sulle successive assunzioni di personale. Hanno rinunciato alla contrattazione".