Emiliano: «Abbiamo tutelato le aziende agricole e le casse della Regione messe a rischio dalla dissennata gestione del passato»
E ora, portata a termine la riforma dei Consorzi di bonifica, bisogna pensare ai debiti. Nel bilancio della Regione sono iscritti come residui attivi 124 milioni di euro di anticipazioni, soldi che gli enti commissariati hanno ricevuto nel corso degli anni e dovrebbero restituire. Se non lo faranno diventeranno a tutti gli effetti una perdita, aprendo un buco che dovrà essere tappato con i soldi dei cittadini.
«Abbiamo tutelato le aziende agricole e le casse della Regione messe a rischio dalla dissennata gestione del passato», ha detto il presidente Michele Emiliano commentando l’approvazione della legge avvenuta alla mezzanotte di martedì. Nella riforma c’è anche un articolo relativo al ripianamento della debitoria pregressa, norma che però non si applica «ai crediti della Regione Puglia». Insomma, non solo la voce più rilevante del passivo (in totale sono 210 milioni) non è stata coperta, ma la Regione si è pure impegnata a erogare «un contributo» per coprire le transazioni con i fornitori non pagati. Nella prima versione del disegno di legge era prevista la predisposizione di un piano di rientro per i debiti della Regione: il perché la norma sia stata cancellata è abbastanza evidente.
Dal 2003 (quando la giunta Fitto sospese il pagamento del tributo di bonifica) i Consorzi hanno vissuto grazie ai finanziamenti del bilancio della Regione. Tecnicamente si trattava di anticipazioni, dunque di partite di giro. Nel 2015 l’operazione straordinaria di pulizia del bilancio regionale richiesta dalle nuove norme contabili ha portato i 124 milioni tra i residui attivi (i crediti da incassare). Il riaccertamento dei residui va eseguito ogni anno. Ed ora, dopo l’ok alla riforma, la Regione dovrà valutare compiutamente la situazione, perché potrebbe essere necessario svalutare il credito aprendo dunque un buco di pari dimensione.
A fronte di questo problema, il tema - indubbiamente importante - della gestione delle funzioni irrigue rischia di passare in secondo piano. Sull’affidamento dell’acqua ad Aqp si è infatti giocata la rottura tra maggioranza e opposizione (Cor e grillini hanno abbandonato per protesta l’aula del Consiglio), pur trattandosi dell’unica soluzione praticabile: ogni anno l’irrigazione crea 7 milioni di nuovi debiti semplicemente perché in pochi pagano l’acqua.
La riforma prevede che gli acquedotti rurali dovranno essere gestiti dal Consorzio unico sotto la direzione tecnica di Aqp e attraverso la struttura amministrativa di Acquedotto. Dal 1° dicembre del prossimo anno se il bilancio della gestione del Consorzio sarà negativo ci sarà il trasferimento vero e proprio delle competenze ad Aqp. È un meccanismo volutamente tortuoso: se infatti la legge dovesse essere impugnata per incostituzionalità, le funzioni irrigue non sarebbero compromesse.