Secondo due associazioni, queste strutture «rappresentano un ragionevole pericolo sanitario e ambientale. La gente si ammala di cancro»
La guerra sui forni crematori ha inizio a colpi di diffide e appelli. Altair srl, la società capofila del progetto di Botrugno, ha conferito mandato ad un legale per chiedere a Provincia di Lecce e Comune di Scorrano di astenersi dall’autorizzare il project financing presentato dalla Leucci srl in quest’ultimo comune, che non compare tra quelli individuati come idonei a ospitare impianti. Una moratoria complessiva, invece, è stata chiesta da chi si batte contro il tempio di Botrugno, dopo la notizia di ulteriori progetti a Scorrano e Copertino. «Le amministrazioni propinano queste iniziative come occasioni irrinunciabili, asserendo facili guadagni per le casse comunali. Progetti a pioggia nel Salento. Una situazione speculare a quella veneta, dove simili investimenti in project financing sono spuntati come funghi, tanto da costringere il Consiglio regionale al blocco delle autorizzazioni a nuovi impianti di cremazione fino alla fine del 2018, in attesa che la giunta regionale effettui uno studio sulle ricadute delle emissioni sulla salute della popolazione e sull’ambiente».
Il Comitato «No al Forno Crematorio di Botrugno e il Movimento Civico ApertaMente ne sono convinti: queste strutture «rappresentano un ragionevole pericolo sanitario ed ambientale. La gente si ammala di cancro ed alcuni amministratori non si pongono scrupoli ad autorizzare impianti “inquinanti a norma di legge” come i forni crematori».
Si chiede una stretta sulle autorizzazioni e si invita la Regione Puglia a fare come il Veneto. «Fa strano notare - continuano gli attivisti - come la proposta di tali progetti provenga da aziende costituite ad hoc, inattive e con capitale sociale irrisorio, come nel caso di Scorrano».
A Botrugno, si attende il tavolo tecnico durante il quale vagliare eventuali criticità. Se non ce ne saranno, come annunciato pubblicamente dal sindaco Pasquale Barone, saranno comunque i cittadini ad avere l’ultima parola, attraverso un referendum, «del quale, tuttavia – ribadiscono dal comitato – non c’è ancora un regolamento, a distanza di un anno»