Mancano dottori al 118 e in pronto soccorso. Primi concorsi deserti a Lecce
A Lecce l’estate scorsa per garantire i pediatri necessari alla copertura estiva si sono letteralmente piazzati fuori dall’aula delle Università in attesa di due specializzandi. E a Bari, la scorsa settimana, l’avviso pubblico urgentissimo per coprire due posti in neurochirurgia al «Di Venere» ha avuto un unico candidato. A.A.A. medici cercansi anche in Puglia, dove il problema - che è nazionale - tra quattro o cinque anni sarà semplicemente drammatico. Già oggi il sistema sanitario regionale non è in grado di coprire il fabbisogno del 118 e del pronto soccorso. Tra il 2020 e il 2022 non sarà più possibile garantire la copertura nemmeno dei medici di famiglia. Il motivo è semplice: non ce ne sono abbastanza.
Il problema, come detto, è nazionale e per ora più evidente nelle regioni del Nord. Ma tra un po’ toccherà pure al Sud, e in particolare alla Puglia man mano che andranno in pensione le classi mediche che si sono laureate negli anni ‘70. All’epoca l’università di Bari garantiva 900-1.000 nuovi medici l’anno. Adesso siamo scesi a circa 300, per via (soprattutto) del numero chiuso. Di questi 300, circa un terzo entra nelle scuole di specializzazione, un altro terzo prende il diploma per la medicina generale, il resto si ferma un po’ perché non trova posto per proseguire un po’ perché va a lavorare nel privato. Il solo sistema ospedaliero pubblico, in Puglia, nel 2015 ha generato 221 pensionamenti, la medicina territoriale circa un centinaio. Nel 2020 il numero dei pensionamenti tra gli ospedalieri dovrebbe toccare quota 800. E questo senza considerare i medici di famiglia e la sanità privata, che pure assorbe una parte rilevante dei nuovi medici. E senza minimamente considerare il maggior fabbisogno legato ai nuovi Lea e alle nuove regole su turni e riposi.
Il sistema delle scuole di specializzazione certo non aiuta, a maggior ragione adesso che il concorso è diventato nazionale: un pugliese bravo che arriva ai primi posti della graduatoria accetta di buon grado di salire a Milano, sapendo che una scuola blasonata è garanzia per il futuro. Ma un milanese non scende a Bari, in particolare per alcune specialità (su tutte, le chirurgie) nelle quali spesso i posti non sono coperti. A questo si aggiunga che gli statuti delle scuole di specializzazione non sono tarati sul fabbisogno del sistema sanitario, e i posti disponibili (che a loro volta dipendono dall’organico dei docenti, dovendo garantire un determinato numero di ore di formazione) non sono collegati con la realtà: due anni fa la Regione programmò quattro posti in ematologia, ma per questo motivo dovette annullarne due.