Dal 2014 oltre 15 mila morti nel Mediterraneo
Nel corso degli anni i morti sono costantemente aumenti. E la rotta più pericolosa è quella Libia-Italia. Ma ora che è stata chiusa, sono in aumento gli sbarchi e i decessi sulla rotta nord Africa-Spagna.
In poco più di tre anni sono morte oltre 15 mila persone, mentre cercavano di attraversare il Mediterraneo. Martedì 3 ottobre, l’Italia celebra la Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’immigrazione, istituita con un’apposita legge (la n.45 del 2016) per ricordare chi “ha perso la vita nel tentativo di emigrare verso il nostro Paese per sfuggire alle guerre, alle persecuzioni e alla miseria”.
La scelta della data ricorda un tragico episodio accaduto nel 2013: l’inabissamento a meno di un miglio da Lampedusa di un peschereccio che trasportava migranti in gran parte eritrei, causando 368 morti. Pochi giorni dopo, l’11 ottobre, un nuovo naufragio provocò altre 160 vittime, questa volta prevalentemente siriane. Questi episodi erano però solamente la punta di un iceberg, un processo che sta, da almeno venticinque anni, accompagnando l’Europa. Dal 1988 al 2016 sono almeno 27mila le persone che sono morte tentando di attraversare il Mediterraneo e di entrare nella “fortezza Europa”.
Questo groviglio di passato dimenticato e di presente ignorato caratterizza la cultura dell’italiano medio del nuovo millennio, impregnata di razzismo e xenofobia, rivolta proprio contro quelle vittime di ieri e di oggi. Una cultura che si accontenta di vedere scomparire dai propri occhi e dai propri tg i morti in mare, ora reclusi o torturati nei campi libici per effetto dei recenti accordi oppure limitati nei diritti dal decreto Minniti. Una cultura profondamente radicata nello ius sanguinis, che non riesce a pensare ad una legge di cittadinanza che assicuri pari diritti a tutti coloro che vivono con noi.