Celebrato il primo di una serie di eventi. E’ intervenuto anche mons. Filippo Santoro, arcivescovo di Taranto
A quarant’anni dalla scomparsa dell’arciprete buono don Luigi Neglia, ricordando non solo le tracce materiali del suo impegno (il Villaggio del Fanciullo e le Opere Parrocchiali per fare degli esempi), ma anche le sue opere a favore dei poveri, dei disoccupati e dei malati.
L’attualità del suo pensiero e l’eredità spirituale e materiale del suo passaggio da Manduria come pastore delle anime (dal 29 novembre del 1936, quando venne nominato arciprete della città messapica da Pio XI, al 27 novembre del 1978, giorno della sua dipartita), sono state ricordate l’altro ieri sera nel corso di un convegno sul tema “Prospettive e sviluppi della nuova Ilva di Taranto per il mondo del lavoro e il territorio jonico”, promosso dall’associazione che porta proprio il nome di don Luigi Neglia.
Il nesso fra la crisi occupazionale di Taranto e don Luigi Neglia potrebbe sembrare poco comprensibile per chi non ha conosciuto l’arciprete di Villa Castelli. Per rimarcare l’impegno del “maestro di spirito e di evangelizzazione”, mons. Franco Dinoi, attuale arciprete, ha ricordato la lettera che don Luigi spedì ad un deputato il 14 dicembre del 1950, rivendicando l’apertura di cantieri (nello specifico quello per la strada Manduria-Uggiano e quello per la realizzazione del Villaggio del Fanciullo) che potessero essere una valvola di sfogo per i tanti disoccupati della città.
«Non vogliamo favori, ma il diritto al lavoro, pur non esprimendo, la nostra città, alcun deputato» scrisse don Luigi nella lettera, che evidentemente poi sortì gli effetti sperati.
E’ poi intervenuto il narratore Giuse Alemanno, manduriano ma trapiantato a Taranto, che per anni ha lavorato all’Ilva.
«Ho colto l’occasione per andare via dall’Ilva grazie agli incentivi previsti nel passaggio alla nuova proprietà» ha ricordato Alemanno. «Avevo deciso di lasciare il prima possibile l’azienda quando venne a mancare un nostro collega di reparto, Martino Sgobba, per un tumore al rene. In quel periodo noi operai siamo stati vicini alla famiglia di Martino, sia nella sofferenza, sia nel sostegno per le tante spese sostenute. Gli operai dell’Ilva sono colpiti due volte dall’inquinamento: prima come operai e poi come cittadini. Nessuno è al sicuro».
La parola è passata poi all’arcivescovo di Taranto, mons. Filippo Santoro, presidente della Commissione Episcopale per i problemi sociali e il lavoro della CEI.
«La dignità della persona deve essere posta al centro di ogni discussione» la sua opinione. «Io a lungo ho avuto, ogni mattina, due file: quella di coloro che chiedevano la chiusura dell’Ilva per arginare l’inquinamento e quella dei dipendenti, preoccupati di perdere l’unica fonte di sostentamento. Io sono per la difesa non solo dell’ambiente ma della società, quindi per una ecologia sociale, restando vicino e ascoltando le persone. Non considero lo sviluppo industriale separato dalla persona umana e dall’ambiente. E non considero l’attenzione all’ambiente separata dalla questione sociale, umana e culturale. Quindi accetto l’industria con i suoi tanti posti di lavoro, ma l’industria deve rispettare il territorio. Sono stati stanziati tanti soldi per la bonifica. Se gli interventi saranno realizzati, sarò contento, altrimenti non esiterò a criticare i nuovi padroni dell’azienda».
Il convegno è stato poi chiuso dall’intervento di Antonio Dimitri, presidente dell’associazione “Don Luigi Neglia”.