Un vulcano, dalla simpatia travolgente, che ha superato ogni ostacolo e che ora ha … preso per la gola i tedeschi
Grazie al gruppo “Manduriani sparpaiati n’tra lu munnu e non”, abbiamo conosciuto una intraprendente manduriana che, da anni, ha lasciato Manduria per divenire una cittadina tedesca, ma non proprio … uber alles.
Si tratta di Simona Nardelli, teutonica d’adozione, ma con radici profonde ben piantate a Manduria. Attraverso fece book, abbiamo iniziato l’intervista. Ma già alle prime battute, ecco l’imprevisto che non ci è mai successo in una carriera ormai quasi quarantennale.
Alla richiesta di mostrarci, attraverso una foto, una delle sue delizie, ci è arrivata la foto che abbiamo pubblicato qui sotto. Torta sicuramente dolcissima, così come dolce è quell’eloquente invito…
Una testimonianza di come, nonostante sia una imprenditrice affermata, Simona sprizzi la voglia di divertirsi da ogni suo poro..
Dopo aver smaltito la “sorpresa” per quell’invito … lassativo, Simona ha finalmente deciso di ritornare a fare la .. seria, raccontandoci la sua vita. Vita che, come potrete poi leggere, è stata inizialmente piena di non pochi ostacoli. Ma la sua forza d’animo e la caparbietà sono più forti di ogni muro che ha tentato di interrompere il suo cammino.
«Ho avuto un infanzia bellissima, vissuta prima a Uggiano e poi a Manduria» ci ha raccontato Simona. «I ricordi più belli di quel tempo li ho nella masseria dei miei nonni materni, denominata “La Spina”. Sole, uva e le lasagne che la nonna cucinava nel forno a legna... E io felice all’ora di pranzo di poter suonare la campana per chiamare li “uemmini” e li “femmini” che vendemmiavano».
Simona rammenta l’età scolare.
«Frequentai l’asilo delle suore a Uggiano. Ricordo il pranzo in mensa con tutti gli altri bambini, tra cui Stefania Duggento, che adesso vive anche lei in Germania in una città non molto distante dalla mia e che è tuttora una mia carissima amica.
Poi il trasferimento a Manduria all’età di 6 anni. Il primo giorno di scuola conobbi la mia adorata Lucia Pastorelli, anche lei tutt’ora amica, fino al punto che io e lei siamo le madrine delle rispettive figlie.
Ogni giorno la strada per andare e tornare da scuola la percorrevo con lei. Quella strada di cui ancora ricordo profumi e colori. I fiori che nascevano selvatici, in primavera specialmente i papaveri. In autunno, l’odore del mosto».
Poi il racconto diventa più serio. Simona concede al giornalista qualche confidenza.
«L’adolescenza fu un po’ più complicata, un po’ per il mio carattere ribelle e poi perché mi ero imposta di compiere una missione per una persona a me molto cara» prosegue Simona. «Decisi di andare via il più lontano possibile da Manduria. Anche per spianare la strada a quella persona.
Il mio carattere ribelle e delle incomprensioni in famiglia mi convinsero ad andare via il più lontano possibile. Tramite una mia compagna di scuola di Sava, conosco un suo cugino che viveva già in Germania. E decidiamo di andare via con lui. Quindi, a 15 anni e mezzo, in estate, scappo di casa con lui e vengo in Germania».
Il suo carattere, insomma, è un vero vulcano.
«Quando sono arrivata in Germani ho trovato subito lavoro in una fabbrica di vetro, che esiste tutt’ora. Qui ebbi la possibilità di imparare presto il tedesco, anche grazie al fatto che ero la più giovane e tutti i colleghi/e mi coccolavano. Iniziai a giocare a calcio femminile in una squadra italiana e così ebbi la possibilità di conoscere anche tanti altri italiani in zona. Quindi mi fu abbastanza facile ambientarmi. L’unico problema era il clima rigido (ad agosto indossavo il maglione). Per fortuna mi ero portata dietro anche il mio preferito.
E mi mancava tantissimo il mare . E il mio papà. Che per tre mesi pianse ogni notte per la mia partenza .
Per aiutare degli amici iniziai a lavorare anche nei fine settimana in un ristorante a Wirges. Così iniziai ad appassionarmi alla gastronomia. A 19 anni nacque mia figlia. A 21, visto la mia passione per questo lavoro, mio papà mi aiutò ad aprire il mio primo ristorante a Geisenheim, che chiamai “L’aragonese” in onore alla nostra Taranto.
Visto che nel frattempo mi ero separata dal suo papà ed ero sola ad occuparmi del locale e della bambina, i miei genitori presero in cura Giulia, portandola a Manduria. Finché avrebbe iniziato l’asilo, mi dissero.
Ho invece capito che a Manduria avrebbe vissuto meglio e anche per non creare un dispiacere alla mia famiglia ho sempre rimandato il rientro da me, preferendo patirne io. Non ho sbagliato però».
Quando si parla della figlia Giulia il suo tono cambia: da ogni parola traspare l’amore per la sua creatura.
«Giulia a Manduria è felice. Balla latino americano da quando aveva 6 anni. Lavora a San Pietro. Lavora troppo, come me. Mi sa che è un vizio di famiglia… Ma so che è felice . Il suo sorriso, la sua dolcezza e la sua solarità mi danno costantemente la conferma».
Intanto in Germania inizia a creare un piccolo impero.
«Nel 2000, in società con un veneto, inizio ad aprire delle gelaterie. Ed è la svolta. Nel 2003 rilevo la mia prima gelateria a Wirges. Poi nel 2004 la malattia mi costringe a fermarmi. Avevo 27 anni e mi avevano prognosticato tre anni di vita.
Il chirurgo mi promise che mi sarei risvegliata dall’operazione».
Simona ci racconta un altro episodio che ci colpisce tantissimo.
«Nei 14 giorni in terapia intensiva parlai con mio papà, che era morto appena un mese prima. Lui mi urlò di non mollare.
Urlava proprio arrabbiato. E io gli promisi che sarei restata. Secondo il chirurgo ciò che raccontai al risveglio poteva essere legato allo shock. Venne a trovarmi in terapia intensiva e mi disse che miracolosamente le analisi dei linfonodi erano buone e dunque non c’era più il pericolo di vita. ...non era così come mi avevano detto prima dell’operazione. E mi fece un altra promessa: avrei vissuto fino a cento anni.
Quindi divenni fortissima (dopo tanta convalescenza) e decisi che avrei sfruttato al meglio ogni giorno della mia vita.
Vivendolo in pieno ogni giorno».
Simona ritorna il fiume in piena che abbiamo conosciuto ad inizio intervista.
«Adesso mi ritrovo con tre gelaterie e un ristorantino in progetto che aprirò in estate. Ho dei fantastici collaboratori, maestri gelatai che si occupano di due delle mie gelaterie .(Janice De Melo con suo marito Sergio Margoti e Arber Süleyman), che ringrazio per tutto.
A Manduria invio i saluti alla mia cara zia Maddalena, mio esempio di forza e coraggio.
E voglio salutare anche tutti i manduriani sparpaiati. E grazie ad Antonio Mero per lo scudetto che mi ha dato, rendendomi moderatrice del gruppo, che amo e che allieta le mie giornate. Infine la mia nostalgia per il nostro bellissimo mare, che si può anche cogliere dall’ultima foto..».
L’invito ad andare a visitare le gelaterie di Simona, soprattutto per coloro che vivono nella zona, è scontato. Ma non garantiamo sui messaggi che potreste trovare sul sue torte…