lunedì 25 novembre 2024


13/04/2019 11:08:39 - Provincia di Taranto - Cultura

Il resoconto dell’incontro che si è svolto nel salone di rappresentanza della Provincia di Taranto

Parla e racconta con gli occhi socchiusi. Un racconto che strappa emozioni, che stringe il cuore, che strappa lacrime furtiva. Il suo nome è Liliana Bucci, “ma tutti mi chiamano Tatiana”, nata a Fiume il 19 settembre 1937 ed è una delle pochissime bambine sopravvissute al campo di sterminio di Auschwitz.

Poi c’è sua sorella Alessandra, “ma da sempre tutti mi chiamano Andra”, anche lei nata a Fiume il 1° luglio 1939 e anche lei, come sua sorella Tati, una delle pochissime bambine sopravvissute al campo di sterminio di Auschwitz (su duecentoventimila bambini, tra ebrei, rom e sinti, soltanto in 50 sopravviveranno e saranno salvati).

L’atmosfera è di quelle magiche e cattura l’attenzione delle numerose persone che hanno riempito il salone di rappresentanza della Provincia di Taranto dove Andra e Tatiana Bucci, insieme a Micaela Felicioni della Fondazione Museo della Shoah, ospiti dell’associazione “Le città che vogliamo” nell’ambito della mostra itinerante sulla Shoah (in esposizione fino alle ore 17 di venerdì 12 aprile nell’ex convento di San Michele, sede dell’istituto Paisiello e organizzata insieme alla Fondazione museo dello Shoah, al Provveditorato agli studi di Taranto e al Comitato per la qualità della vita e finanziata dall’UNAR, Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali, organo del Dipartimento per le pari opportunità presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri) hanno fatto irrompere con forza, emozione e commozione pagine di storia destinate a non essere più dimenticate.

Stesse atmosfere respirate il venerdì mattina quando Tatiana ha incontrato nella sede del Dipartimento Jonico di Studi giuridici del Mediterraneo gli studenti degli istituti superiori di secondo grado e quelli universitari mentre Andra, a Statte, ospite della scuola media “Leonardo da Vinci” dove è stata accolta sulle note de “La vita è bella”.

Lo sterminio degli ebrei e l’Olocausto, che molti, ancora oggi, continuano a disconoscere, piombano ed esplodono con fragore, raccontati da queste due sorelle, che oggi hanno 81 e 79 anni, che quel dramma l’hanno vissuto sulla propria pelle e che, ancora oggi, a distanza di tanti anni, continuano a raccontarlo perchè nessuno lo possa dimenticare, invitando tutti alla militanza della memoria.

La storia di Tatiana e Andra è terribile e incredibile al tempo stesso: due bambine che si salvano, dopo essere state trasportate nella più grande fabbrica di morte che era il campo di concentramento di Auschwitz e la cui storia continua ad essere una storia di felicità, di madri e nonne che hanno attraversato il dopoguerra. Tutto grazie ad una serie di circostanze fortuite, furono scambiate per gemelle e destinate alle sperimentazioni mediche di Mengele, e a un rigurgito di coscienza di una blokova del campo di sterminio che le prese sotto la sua ala protettiva raccomandandosi con loro, racconta Andra, “di restare in silenzio e di non rispondere alla domanda, che sarebbe stata rivolta a un folto gruppo di bambini, se avessimo voluto incontrare le nostre mamme”. Perché, chi avesse risposto di sì anziché incontrare la propria mamma “sarebbe stato utilizzato per essere sottoposto ad esperimenti medici che li avrebbero poi condotti a morte certa”.

Già, mamma Mira, che per prima si fece tatuare il numero sul braccio per capire se potesse essere troppo doloroso per le piccole figlie; mamma Mira che ogni sera, nel campo di concentramento di Auschwitz, andava a trovare le piccole Andra, quattro anni, e Tati, sei anni, “per ricordarci il nostro nome e cognome”, ritrovatesi tutte e tre rinchiusi nel campo di concentramento perché una persona le aveva denunciate in quanto ebree.

Applausi ed emozione si confondono in un racconto che è, al tempo stesso, di morte e di vita e speranza. Come il numero di matricola 76483, tatuato sul braccio di Andra e che “non ho mai pensato di cancellare perché,  anche se rimosso, sarebbe rimasto impresso nella memoria e anche perché è un segno che noi ce l'abbiamo fatta”. Un segno di un passato, aggiunge Tati, “che ci ha calato in una realtà dove la vita che circondava era morte perchè noi, i cadaveri e gli scheletri delle persone giustiziate, li vedevamo ammonticchiati in un capannone con la porta socchiusa”.

Frammenti di vita, testimonianze di un'epoca storica “che abbiamo voluto raccontare con due testimoni diretti dell’Olocausto e di Auschwitz per ricordare il passato e per non rimanere indifferenti al presente”, ha infine chiosato Gianni Liviano che ha concluso spiegando che l’obiettivo “era anche quello di sottolineare come le diversità culturali, sociali, di razza e di confessione religiosa rappresentino comunque un arricchimento se vogliamo essere, attraverso il dialogo e l’accoglienza, convinti costruttori di pace e fondatori di comunità aperte e accoglienti".

La “due giorni” tarantina delle sorelle Bucci si è poi conclusa con l'inaugurazione del Giardino dei Giusti nella scuola media Alfieri.











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