«Qualora la Regione Puglia dovesse approvare il nuovo progetto del depuratore o non avviare la revisione del PTA, non esiteremo ad impugnare gli atti, quando e se ci saranno, innanzi al TAR e a segnalare alla Procura regionale della Corte dei conti anche i danni erariali derivanti da spese assunte, a nostro avviso, in difformità dalle norme e dai procedimenti che disciplinano la materia»
Dopo la presentazione dell’atto di significazione e di diffida, redatto dall’avvocato lombardo Claudio Linzola, le associazioni ambientaliste passano al contrattacco. L’altro ieri sera, a Manduria, vi è stato un nuovo incontro fra le associazioni, in cui, oltre ad illustrare ai presenti i passaggi più significativi del ricorso, è stato fatto il punto sulla raccolta dei fondi per finanziare le iniziative legali e si è discusso su studi tecnici per siti alternativi (funzionali al ricorso).
«L’atto è stato scritto con il decisivo contributo dell’avv. Claudio Linzola del Foro di Milano, che è stato incaricato dalle associazioni ambientaliste manduriane di predisporre ricorsi amministrativi contro il progetto» ricorda Francesco Di Lauro, presidente di Azzurro Ionio. «Le associazioni diffidanti hanno chiesto espressamente ed a norma di legge di avviare la revisione del piano acque perché sia modificato la previsione del depuratore unico, sparso in diversi impianti, collegati con chilometri di tubature, anche in aree ambientali di pregio e vicino all’abitato di contrada Urmo) e di sospendere i lavori in corso e respingere l’ulteriore progetto di AQP, che è poi quello del 2009 un po’ modificato, prima che non sia effettuata una seria valutazione degli impatti e sia trovata una soluzione effettiva al problema scarichi, che coinvolga anche le marine».
Secondo le associazioni (Azzurro Ionio, Verdi, Manduria Lab, Legambiente e Archeo Club), «il Piano di Tutela delle Acque) approvato nel 2009, che prevede un unico depuratore per l’agglomerato di Sava-Manduria-marine, è superato e deve essere revisionato: così dice l’articolo 121 del codice ambiente, che ne prevede la revisione ogni 6 anni».
Le associazioni sostengono, inoltre, che «non è stata rilasciata l’autorizzazione unica, obbligatoria, prevista dall’articolo 27 bis del codice ambiente» e che «il progetto è stato spezzettato in 4 “stralci funzionali” con il risultato che non è stata chiesta la VIA sul nuovo progetto ed anzi nel novembre 2018 è stato abbandonato il procedimento di VIA, che era stato avviato nel marzo 2018».