martedì 26 novembre 2024


02/06/2019 09:58:04 - Manduria - Attualità

«Tanti aspetti sono stati chiariti. Ma non ci fermeremo: si è trattata di discrezionalità politica che ha infangato, a torto, il nome di Manduria prima ancora di quello dello stesso sindaco»

 

«La battaglia di Roberto Massafra contro gli ingiusti provvedimenti di natura politico-sanzionatoria che hanno colpito la città di Manduria e l’amministrazione da lui guidata (in larghissima parte estranea, come l’ex primo cittadino, ad ogni coinvolgimento di natura penale nell’inchiesta “Impresa”), segna oggi una tappa dolorosa che però, al tempo stesso, costituisce lo sprone a far valere fino in fondo le ragioni di una scelta di alta discrezionalità politica che ha infangato, a torto, il nome di Manduria prima ancora di quello dello stesso Sindaco.

Questa la prima reazione che suggerisce il deposito, avvenuto in data odierna, del provvedimento con cui il Tribunale di Taranto ha dichiarato l’incandidabilità, tra gli altri, dell’ex primo cittadino respingendo, al contempo, l’analoga richiesta avanzata nei confronti dell’ex assessore Lariccia.

Una decisione, quella del Tribunale jonico, che è comunque servita a fare giustizia di alcune delle vicende che erano state poste a base del decreto di scioglimento quanto alla posizione dell’ex Sindaco, del quale è stata affermata l’estraneità all’assunzione di un pregiudicato presso la ditta appaltatrice dei lavori del nuovo municipio, l’inesistenza di una condotta agevolatrice nei confronti della ditta aggiudicataria, per mezzo di documenti ritenuti falsi, della gara per la Fiera Pessima e, infine, l’assenza di coinvolgimento nel tollerare un dehor abusivo installato nella centrale piazza Garibaldi.

Diversa è stata, invece, la valutazione riservata dal Tribunale all’ultimo episodio ascritto al Sindaco nel decreto di scioglimento, laddove si è ipotizzato che Egli fosse a conoscenza di pressioni esercitate su funzionari comunali da parte di soggetti collegati al sodalizio criminale capeggiato dal Campeggio quanto al riesame della posizione di un’spirante assegnataria di alloggio popolare, di cui neppure la Commissione di accesso ha potuto provare l’esistenza di rapporti col Sindaco e che occupa ancor oggi l’alloggio popolare assegnatole.

La storia cittadina ha registrato, negli ultimi decenni, episodi ripetuti di occupazioni abusive delle case popolari, danneggiamenti e spoliazioni di alloggi appena ultimati – come i 36 di viale Aldo Moro – domande di assegnazione mai realmente verificate sino in fondo: tutto è stato sistematicamente tollerato da chi aveva il potere ed il dovere di intervenire.

La sanzione dell’incandidabilità colpisce, paradossalmente, colui che ha messo in campo, per la prima volta nella storia dell’assegnazione delle case popolari, un’azione politica volta a far sì che della correttezza delle domande presentate dai concorrenti si occupasse la Guardia di Finanza, ed assume i contorni di una sconfitta per chi dell’imparzialità dell’azione amministrativa ha fatto la propria bandiera: circostanza, questa, trascurata dalla Commissione, dal Prefetto e dallo stesso Ministro proponente lo scioglimento.

Una sanzione resa ancor più acuta dalla consapevolezza - sottovalutata dal Tribunale che pure per le altre vicende ha ritenuto che la responsabilità del mantenimento di situazioni antigiuridiche fosse riconducibile agli organi tecnico-amministrativi – che la formazione della graduatoria, l’inserimento o l’esclusione di concorrenti ritenuti vicini al sodalizio criminale e l’obbligo di denunciare eventuali pressioni illecite incombevano unicamente ai dirigenti ed alla commissione appositamente istituita per il riesame di singole pratiche e che, unici, hanno preso la decisione di riammettere in graduatoria utile l’aspirante precedentemente esclusa, la sola ad aver presentato plurimi ricorsi.

Insomma per il Ministero ed Tribunale ad essere sanzionata è la politica per le decisioni assunte da funzionari comunali!

Fermamente convinti che in appello si farà giustizia di una tale sentenza resta l’amarezza per questo epilogo del giudizio di primo grado,  accompagnata dalla ferma determinazione a lottare fino in fondo contro uno scioglimento ispirato da considerazioni politiche e costruito, al di là del coinvolgimento penale di alcuni ex amministratori, su ipotesi in massima parte prive di ogni fondamento, come si può fondatamente sostenere alla luce di quanto affermato nella motivazione».

 

Giovanni Luigi De Donno











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