martedì 26 novembre 2024


30/08/2019 09:28:31 - Manduria - Attualità

Le sue esperienze nei campi di accoglienza di Reggio Calabria e di Diavatà (in Grecia)

«Di immigrati e di accoglienza si parla tanto, ma molto spesso chi parla, giudicando, non conosce la realtà e non ha mai incontrato questa gente che scappa via dalla miseria o dalla guerra».

Giulia Lonoce è una giovane studentessa universitaria di Manduria. A Bologna è iscritta alla Facoltà di Giurisprudenza. Il proprio tempo libero lo dedica al volontariato e, più in particolare, all’accoglienza dei “fratelli” che scappano via da zone di guerra fra le più crudeli del mondo, abbastanza dure da motivarli ad affrontare il deserto e il mar Mediterraneo.

Affrontare il tema della accoglienza e della integrazione significa affrontare un tema ad altissima sensibilità politica in una società, quale è quella italiana, ove vanno riemergendo sentimenti populisti, ma significa anche affrontare un tema di rilevanza culturale ed emozionale che coinvolge passioni e paure difficili da contrastare. Giulia Lonoce lo ha affrontato nel corso di un dibattito promosso dall’associazione “Hortus Animae” di Avetrana, al quale è intervenuto anche Enzo Pilò, presidente dell’associazione Babele.

«Oltre che nella città in cui studio, sono stata impegnata in due campi per l’accoglienza dei profughi: uno, lo scorso anno, a Reggio Calabria e l’altro in Grecia, a Diavatà, un’area di confine con la Turchia» ha raccontato Giulia Lonoce. «Ho conosciuto tantissima gente: bambini, ma anche donne e uomini di vari Paesi. In Grecia, in particolare, arrivavano curdi, siriani e afgani. Come comunicavo con loro? Gran parte dei migranti, oltre alla lingua madre, conosce, anche se in forma rudimentale, l’inglese. Si parlava dunque soprattutto in inglese. I siriani, invece, erano interessati ad apprendere il tedesco, poiché la meta di molti di loro è proprio la Germania».

In questi campi di accoglienza Giulia ha conosciuto tante persone e tante storie diverse legate alle loro vite.

«Solo in questi campi è possibile capire questo fenomeno e le motivazioni che sono alla sua base. Guerre, carestie, povertà: sono tanti i fattori che spingono decine di migliaia di persone a raggiungere l’Italia. Ma ho avuto modo di conoscere anche una famiglia curda che era molto agiata. Nel campo profughi di Diavatà erano tutti ospitati in una tenda. Una loro figlia, però, mi parlava della sua grande casa. Perché hanno rischiato la vita pur di arrivare in Europa? Hanno tentato in ogni parte del Kurdistan di trovare un’area sicura, senza conflitti. Non l’hanno trovata. Pur di salvare la loro vita, insomma, hanno abbandonato tutto, scegliendo di vivere in Europa. Si tratta di gente, di nostri fratelli più sfortunati, ai quali è doveroso tendere la mano».

A loro Giulia vorrebbe dedicarsi anche dopo la laurea.

«Mi piacerebbe diventare avvocato immigrazionista».











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