Lazzàro: più controlli sui prodotti esteri e meno speculazioni
Annata buona per la produzione di olio d’oliva, ma pessima per il prezzo. Per Confagricoltura Puglia la campagna olivicola del 2019 rischia di restare imbrigliata, ancora una volta, nel meccanismo perverso del prezzo, sempre più stagnante e legato a dinamiche di mercato sfavorevoli ai produttori pugliesi.
Secondo l’ultima rilevazione ufficiale di Ismea, infatti, il prezzo medio mensile dell’olio extravergine di oliva ad ottobre viaggia intorno ai 4,34 euro al chilo, con una flessione secca del 15,2% rispetto allo stesso mese del 2018. Non va meglio il DOP Terre di Bari che, sempre ad ottobre, si attesta sui 4,43 euro al chilo, con una perdita netta del 10,4% rispetto al mese precedente e del 13,1 nel confronto con l’anno prima.
«Un’annata dai due volti – spiega Luca Lazzàro, presidente di Confagricoltura Puglia – in cui registriamo un’ottima produzione in Terra di Bari e nella BAT, buoni risultati anche nel sud Foggiano, a Taranto e Brindisi, ma paghiamo pesantemente il crollo produttivo del Salento, almeno del 75-80 per cento, un territorio falcidiato dalla Xylella e dalla lentezza delle risposte in termini di contrasto del batterio killer, ma dove l’olio sarà di altissima qualità. Anche qui la difficoltà sulla tenuta dei prezzi non deve penalizzare quei pochi che ancora riescono a produrre dalle varietà resistenti presenti e che stanno tenendo duro in attesa dei provvedimenti, ormai pronti, per procedere al reimpianto».
Stando alle stime più recenti, la Puglia da sola produrrà poco meno di 200mila tonnellate di olio d’oliva (+175% rispetto al 2018). Numeri importanti, che rappresentano quasi il 60% della produzione nazionale, data sulle 350mila tonnellate, quasi il doppio di quella dell’anno precedente.
Manca, tuttavia, l’effetto traino sul prezzo, che va in direzione opposta. «Le cause dei prezzi fortemente ribassati – sottolinea Lazzàro –, come evidenziano bene le rilevazioni Ismea, stanno da un lato nelle dinamiche della grande distribuzione, che grazie ai grandi volumi di vendita può permettersi di abbassare i prezzi sino a livelli che per noi sono fuori mercato, dall’altro sono dovuti ai costi decisamente inferiori rispetto a quelli italiani della produzione di olio di oliva in Paesi come Spagna e Grecia. L’extravergine spagnolo veniva venduto ad ottobre scorso a 2,36 euro al chilogrammo, mentre quelle dell’olio greco a 2,73 euro. Ancora più basse le quotazioni dell’olio prodotto in Tunisia, fermo a 2,31 euro. La miscela micidiale tra calo dei prezzi interni e costi di produzione e di vendita inferiori sulle piazze estere ha effetti devastanti sull’olio pugliese e italiano, al netto delle speculazioni che puntualmente si riversano sulla pelle dei nostri produttori olivicoli».
Dinamiche al ribasso che hanno un forte impatto anche sui mercati locali, soprattutto in Puglia. Nel Barese, in particolare, siamo alla vigilia di un’annata con prodotto di eccellente qualità, senza fitopatie di rilievo e dopo il 2018 “nero” funestato dalle gelate di Burian. Eppure il mercato è fermo e i produttori, dopo due anni difficilissimi, temono di non riuscire a monetizzare il valore aggiunto dell’ottimo olio d’oliva che sta uscendo dai frantoi. «I commercianti all’ingrosso – spiega Lazzàro - non stanno “muovendo” il mercato, sempre più ingessato su determinate posizioni che penalizzano i produttori e favoriscono il lato della domanda che, in buona sostanza, fa – quando non impone - il prezzo. Ma è un prezzo che su alcune piazze ormai sta scendendo ancora e non promette auspicabili risalite».
Capitolo delicatissimo, almeno quanto quello dei controlli sul prodotto estero che gli olivicoltori pugliesi chiedono a gran voce. «E’ ora – rimarca il presidente di Confagricoltura Puglia – che le autorità ministeriali e doganali controllino seriamente ciò che sta arrivando o è già sbarcato nei nostri porti o viaggia su gomma sulle nostre strade, soprattutto di notte. Sofisticazioni, adulterazioni, concorrenza sleale, oli di dubbia provenienza, blend e miscele strane sono fronti caldissimi su cui bisognerebbe indagare a fondo. Controlli che nelle nostre aziende avvengono puntualmente ma che, in altri ambiti, forse sono meno incisivi. Non è solo questione di difendere l’italianità o la pugliesità dell’olio d’oliva extravergine, ma di accendere i fari sul prezzo di prodotti che, sotto certi livelli di guardia, non possono assicurare né la copertura dei costi di chi li produce, né tantomeno garantire qualità nutrizionali e caratteristiche organolettiche per chi li consuma».