I medici di famiglia sono una delle categorie professionali più colpite dal contagio, che spesso affrontano senza alcuno strumento di protezione individuale
Una lista ogni giorno più lunga, con i nomi di medici in grandissima parte vittime del dovere, perchè impegnati in una lotta senza quartiere al coronavirus. Una lotta il più delle volte combattuta - insieme agli infermieri - quasi a mani nude, spesso dalla prima trincea di difesa, quella dei medici di famiglia. Mancano infatti quasi ovunque i Dispositivi di protezione individuale (Dpi) per evitare il contagio, dalle mascherine alle maschere facciali, dai camici ai guanti monouso.
Anche per questo, come denunciano da giorni i sindacati e gli ordini professionali di una categoria in prima linea, in Italia medici e infermieri contagiati dal nuovo coronavirus superano ampiamente le 3.500 unità (dato Fondazione Gimbe al 18 marzo), oltre il doppio rispetto a quelli infettati in Cina. E il personale sanitario affetto da Covid-19 è pari al 10% dei casi totali .
La risposta dei sistemi sanitari regionali arriva, ma in ordine sparso e ci vorranno giorni prima che i medici di base, i più colpiti, possano avere uno scudo efficace per continuare a combattere. Questi i nomi e queste le storie dei medici che, dall’inizio del contagio, il 21 febbraio, hanno perso la vita facendo il proprio lavoro.
Roberto Stella
«Siamo qui per lavorare e combattere». Sono le ultime parole, riferite da un amico e collega, pronunciate da Roberto Stella, medico di base di Busto Arsizio, morto di coronavirus all'età di 67 anni l'11 marzo all'ospedale di Como, per un peggioramento dopo cinque giorni in terapia intensiva. Per anni ha avuto un ruolo da protagonista tra i medici di famiglia, come presidente dell'Ordine dei medici della provincia di Varese e responsabile dell'Area Formazione della FNOMCeO, la Federazione degli Ordini dei Medici. Tra i suoi incarichi, anche quello di esperto del Consiglio superiore di sanità. Mobilitato sin dalle prime battute del contagio, Stella è stato fino all'ultimo al fianco dei suoi molti pazienti, ma al suo funerale hanno potuto partecipare solo il sindaco, il prete e un cugino: la cerimonia era off limits per le restrizioni anti-contagio.
Giuseppe Lanati
Notissimo pneumologo, 73 anni, una lunga carriera negli ospedali comaschi, Giuseppe Lanati è rimasto vittima di complicazioni legate al coronavirus dopo una vita nelle corsie dell'ospedale S. Anna, dove è morto il 12 marzo. Il ricovero era stato deciso dopo che lo stesso Lanati aveva chiesto l'intervento di un'ambulanza del 112 dopo essersi auto diagnosticato - forte della sua esperienza di responsabile della Medicina toracica dell'Asl di Como - i sintomi del contagio. In particolare, una forte e persistente tosse. Tra i suoi molti incarichi, anche quello di Direttore del Dispensario cittadino.
Giuseppe Borghi
Se n'è andato il 13 marzo, nel reparto di terapia intensiva dell'ospedale di Bologna dove era ricoverato, il medico di base 64enne Giuseppe Borghi, piacentino ma operativo nello studio di via Marsala a Casalpusterlengo. Sui social lo ricordano come «persona buona, cordiale e preparata, un grande uomo e grande medico». Internista specializzato in scienza dell'alimentazione, è il primo medico di famiglia caduto nell'esercizio del suo dovere, dopo una vita passata ad esercitare la professione “alla vecchia maniera”, come sottolineano concordi colleghi e pazienti.
Marcello Natali
Lavorava a Codogno, la prima “zona rossa” epicentro del contagio in Lombardia, e aveva 57 anni, Marcello Natali, medico di famiglia come già il padre. Molto conosciuto nel Lodigiano è morto dopo il contagio da coronavirus il 18 marzo, all'Iccs di Milano. Dal 23 febbraio, quando tutto è cominciato, aveva visitato decine di persone, anche a domicilio, aprendo le porte del suo ambulatorio ai pazienti dei colleghi in quarantena. Poi l'annuncio della positività, arrivata agli amici di sempre sulla chat Whatsapp dei compagni della III A del liceo classico San Luigi di Bologna, e un primo ricovero a Cremona. Il 13 marzo, in vista della fine, un sms ai colleghi: “Io purtroppo non vado bene, desaturo parecchio, in mascherina con 12 litri di ossigeno arrivo a 85. Prevedo un tubo nel breve/medio termine”. Originario di S. Giorgio al Piano, nel Bolognese, era anche segretario della Federazione dei Medici di Medicina generale della provincia di Lodi.
Raffaele Giura
Broncopolmonite bilaterale interstiziale connessa al coronavirus: di questo è morto il 13 marzo, Raffaele Giura medico e primario, fino al 2007, del reparto di Pneumologia del vecchio ospedale Sant'Anna di Como, in via Napoleone. La morte è sopravvenuta nella nuova sede del nosocomio, dove Giura era ricoverato da qualche giorno. Giura ha lavorato fino all'ultimo: dopo il pensionamento per sopraggiunti limiti di età, aveva assunto l'incarico di direttore sanitario Ca' d'Industria, una fondazione molto cara ai comaschi che gestisce diverse residenze per anziani.
Carlo Zavaritt
Porta la data del 14 marzo, l'addio a Carlo Zavaritt, ex assessore e medico bergamasco, portato via dal coronavirus e da una brutta polmonite interstiziale dopo un ricovero di quattro giorni all'ospedale Giovanni XXIII di Bergamo. Esperto pediatra, medico di riferimento per moltissimi bambini, Zavaritt aveva per anni svolto anche attività politica nelle file del Partito repubblicano italiano, arrivando a ricoprire l'incarico di assessore all'Ecologia e consigliere comunale. Notevole anche il suo impegno a favore dei più svantaggiati, come testimoniano il Centro Diurno Disabili di via Presolana a Bergamo, di cui era uno dei principali promotori, e l'istituzione di due orfanotrofi nello Sri Lanka dopo lo tsunami nel Sudest asiatico del 2004. Aveva compiuto 80 anni il 23 febbraio, giorno del primo contagio registrato in città.
Luigi Ablondi
Il 16 marzo fatale anche per un altro medico molto noto nel lodigiano, Luigi Ablondi, già direttore generale per diversi anni dell'Ospedale Maggiore di Crema, e da ultimo direttore della clinica delle Ancelle di Cremona dopo il pensionamento alla fine del 2018. L'11 marzo Ablondi - considerato uno dei manager più preparati e autorevoli della Sanità lombarda - era stato ricoverato a Parma, dove risiedeva, per una broncopolmonite. Dopo un tampone positivo, il passaggio alla terapia intensiva e l'intubamento per il peggiorare delle sue condizioni.
Mario Giovita
Tra i caduti da coronavirus anche Mario Giovita, medico di Medicina Generale della provincia di Bergamo. Il decesso è arrivato il 16 marzo dopo un ricovero di alcuni giorni all'ospedale Papa Giovanni XXIII durante il quale era risultato positivo al tampone. Le sue condizioni fisiche si sono aggravate rapidamente. Laureato in Medicina e Chirurgia e specialista di malattie infettive, per molti anni Giovita è stato medico di famiglia di Caprino Bergamasco e Cisano Bergamasco.
Ivano Vezzulli
Nella lunga lista dei medici lodigiani uccisi dal contagio, c'è anche Ivano Vezzulli, 61 anni, residente a San Rocco al Porto, sulle rive del Po, ma con ambulatorio a Maleo. Era un medico di famiglia e dello sport, storico assistente medico delle giovanili del Piacenza Calcio e della cooperativa per disabili “Amicizia” di Codogno. La causa di morte, registrata il 17 marzo all'ospedale di Voghera, è quella di polmonite connessa al coronavirus.
Massimo Borghese
Specialista in Otorinolaringoiatria e Foniatria, il medico campano Massimo Borghese il 18 marzo aveva appena compiuto 63 anni ed era ritenuto uno dei migliori foniatri in circolazione, con una competenza maturata nel corso di una brillante carriera, in cui spiccava la docenza in Foniatria e Riabilitazione presso il prestigioso Istituto Stelior di Ginevra, in Svizzera. Le sue ultime visite private in studio, all'Emicenter di Napoli, risalgono ai primi di marzo. Poi la decisione di sottoporsi al test, pur non rientrando nei profili a rischio che prevedono obbligatoriamente il tampone, dopo aver accusato i sintomi dell'influenza, e un rapidissimo declino dovuto al contagio.
Antonino Buttafuoco
È morto il i8 marzo anche Antonino Buttafuoco, medico di base di Ciserano e di Verdellino. Positivo al coronavirus, era stato ricoverato all'ospedale di Treviglio dopo un peggioramento delle sue condizioni per complicazioni alle vie respiratorie. Aveva 66 anni, ed era originario di Alcamo, in Sicilia. Laureato in medicina all'università di Palermo, da molti anni abitava a Brignano. Ha svolto il suo lavoro di medico di base nell'area della Bergamasca fino all'ultimo, ricevendo in due studi.
Franco Galli
Avrebbe compiuto 66 anni a fine marzo Franco Galli, medico di base a Medole, nel mantovano. Viveva a Solferino. Ha lottato per otto giorni contro il Covid prima di arrendersi. La sua salute era già precaria per problemi pregressi.
Luigi Frusciante
Era un apprezzato medico di famiglia Luigi Frusciante, in pensione da poco più di un anno, ma tornato operativo per dare il suo contributo alla lotta al coronavirus, che invece lo ha stroncato nel giro di pochi giorni. Settantuno anni compiuti a febbraio, il dottor Frusciante abitava a Sagnino ed era molto conosciuto a Como anche per la sua attività come medico sportivo e arbitro di hockey. Da anni era impegnato anche nella Commissione Antidoping.
Giuseppe Finzi
È morto a Parma il 18 marzo Giuseppe Finzi, 62 anni, ricoverato nel reparto Malattie infettive dell'Ospedale Maggiore per affezione da coronavirus che ha peggiorato alcune pregresse patologie. Finzi era un medico molto apprezzato, responsabile dal 2001 del Day hospital dell'Azienda Ospedaliero-Universitaria e docente di Malattie vascolari all'Università di Parma Autore di oltre sessanta pubblicazioni su riviste scientifiche nazionali e internazionali, era inoltre membro della Società italiana di medicina interna.