Realizzata dalla milanese Bending Spoons, servirà per tracciare i contagi da Coronavirus
L’Italia avrà fra poco un’app per tracciare i contagi da Coronavirus ed evitare o almeno contrastare l’esplosione di nuovi focolai. Tra le 319 proposte arrivate, in “finale” ne erano arrivate due, ma la scelta è ricaduta su “Immuni” e sarà lei l’app di contact tracing necessaria a tenere sotto controllo la diffusione del virus durante la Fase 2. Domenico Arcuri, commissario straordinario per l’emergenza sanitaria, ha firmato l’ordinanza con cui dispone la stipula del contratto di cessione gratuita della licenza d’uso sul software e di appalto di servizio gratuito con la società Bending Spoons, alla quale vengono anche demandati gli aggiornamenti necessari nel corso dei prossimi mesi.
Due app finaliste
La scelta era ristretta a due app: Immuni, realizzata da Centro Medico Santagostino e Bending Spoons, eccellenza italiana dello sviluppo per iOS. L’altra finalista, Covid-app, fa parte del CoronavirusOutbreak Control, progetto nato dal lavoro di 35 esperti di sei Paesi diversi, ma con una forte matrice italiana. Entrambe sembrano seguire i criteri pubblicati ieri dalla Commissione europea e confermati oggi nella “tool box”, la “scatola degli attrezzi” contenente le indicazioni agli Stati membri per la realizzazione della app: volontarietà del download, temporaneità dell’utilizzo, rispetto della normativa europea sulla privacy e tecnologia Bluetooth.
Che cosa fa l’app
L'app di Bending Spoons e Centro medico Santagostino, utilizzabile in Bluetooth, traccia i contatti avuti con altre persone tramite Bluetooth e li conserva fino a quando non si ha certezza che la persona che l'ha installata sul cellulare è risultata positiva al test del Covid-19. Allora l’utente può dare il consenso al trattamento dei propri dati, permettendo di rintracciare le persone con cui è entrato in contatto nei giorni precedenti attraverso la cronologia dei suoi spostamenti. In più, Immuni, include una cartella clinica con tutte le informazioni rilevanti dell’utente e un diario della malattia da aggiornare regolarmente.
Ma serve davvero?
Sull’efficacia di questi strumenti però la discussione è aperta. Non solo per questioni di privacy: le tecnologie dietro queste applicazioni sembrano non aver dato sempre risposte efficienti. La Corea del Sud è stata spesso citata come modello, così come Singapore, ma i risultati sono tutt'ora oggetto di dibattito.
«Credo che proprio Singapore sia un esempio perfetto per anticipare quello che potrà succedere in Italia, perché lì non è stato deciso il lockdown ma solo alcune restrizioni e l’app come aiuto per il tracciamento dei contagi», spiega all’Agi Marco Trombetti, fondatore di Pi-Campus e tra i maggiori esperti in Italia di nuove tecnologie.
Quindi Singapore vive una situazione simile a quella che possiamo possiamo immaginare in Italia con la Fase 2 dell’epidemia.
«E se guardiamo quello che è successo a Singapore, possiamo dire che è stato un disastro», commenta. «L’app adottata dal governo è stata scaricata meno di un milione di volte su circa sei milioni di abitanti, circa il 18% - prosegue Trombetti -. Di questi solo il 50% l’ha attivata, quindi circa mezzo milione. Non solo. C’è un gap nei dati raccolti perché il Bluetooth non traccia automaticamente gli iPhone, che a Singapore sono circa il 38% degli smartphone usati».
L’app usata a Singapore prevede di avvisare le persone entrate in contatto con un contagiato solo quando la positività è conclamata, un sistema chiuso.
«Credo che oggi l’Italia dovrebbe fare un passo avanti e disegnare qualcosa che abbia davvero un impatto", prosegue Trombetti, perché per mobilitare 60 milioni di persone "serve certezza che l'app adottata serva effettivamente a qualcosa», conclude l’imprenditore.
Prima la sperimentazione
L'app sul contact tracing italiana sarà “un pilastro importante nella gestione della fase successiva dell'emergenza”, la sperimentazione sarà in alcune regioni pilota, poi verrà estesa. È Domenico Arcuri, Commissario per l'emergenza, a delineare uno scenario più chiaro per il sistema di tracciamento italiano del contagio del coronavirus a cui stanno lavorando il ministero dell'Innovazione e la Presidenza del Consiglio. Mentre oggi l'Europa ha dettato le regole per l'app: anonimato e niente geolocalizzazione, sì a bluetooth e volontarietà. Criteri che vedono il plauso del Garante Privacy Antonello Soro. «Speriamo in una massiccia adesione volontaria dei cittadini», ha sottolineato Arcuri, «speriamo possano sopportare e supportare il sistema di tracciamento dei contatti, che ci servirà a capitalizzare l'esperienza della fase precedente ed evitare che il contagio si possa replicare».
L’Europa
«I Paesi Ue stanno convergendo verso un approccio comune» con «soluzioni che minimizzano il trattamento dei dati personali», scrive intanto l’Europa nel documento stilato in collaborazione con i governi. Oltre ai requisiti di volontarietà e interoperabilità tra Stati, già ribaditi, l’Ue si sofferma in particolare sulla tecnologia giudicata più idonea per le app di tracciamento. Devono “stimare con sufficiente precisione” (circa 1 metro) “la vicinanza” tra le persone per rendere efficace l’avvertimento se si è venuti in contatto con una persona positiva al Covid-19; per questo, dice, possono essere utilizzati “il Bluetooth o altre tecniche efficaci”, evitando la geolocalizzazione. “I dati sulla posizione dei cittadini non sono necessari né consigliati ai fini del tracciamento del contagio” sottolinea Bruxelles, precisando che l’obiettivo delle app “non è seguire i movimenti delle persone o far rispettare le regole” perché questo “creerebbe rilevanti problemi di sicurezza e privacy”. Per mantenere l'anonimato, è previsto che le app utilizzino un ID (codice d'identificazione utente, ndr) “anonimo e temporaneo che consenta di stabilire un contatto con gli altri utenti nelle vicinanze”.
In Europa esiste già un progetto che soddisfa questi criteri, su cui stanno convergendo Francia e Germania. Si chiama Pepp-Pt (Pan-European Privacy-Preserving Proximity Tracing) è stato messa in piedi da un gruppo di 130 scienziati e 32 fra aziende e istituti di ricerca di 8 Paesi (tra cui la Fondazione ISI di Torino). Tra i partner del progetto ci sono Vodafone (di cui Vittorio Colao è stato a lungo amministratore delegato) e la milanese Bending Spoons.
Una cosa è certa: l’app dovrà funzionare allo stesso modo su iPhone e Android, e pare davvero difficile che possa riuscirci, senza interagire a livello profondo con i due sistemi operativi: a questo mira lo sforzo di Apple e Google per una piattaforma congiunta. Ma prima che sia disponibile (vero la metà di maggio) vale davvero la pena di scegliere un’app senza sapere se e come potrà sfruttare questi dati?