«Se il governo ci avesse coinvolto ai tavoli ora saprebbe quante richieste di assistenza per influenze, raffreddori e simili riceviamo in inverno: almeno 30 telefonate al giorno»
«Tra massimo un mese nelle scuole italiane ci sarà il caos a causa dei tamponi».
Ne è sicuro il presidente della Federazione Italiana Medici Pediatri, Paolo Biasci, che all'AGI illustra le criticità cui stanno andando incontro pediatri di base e dirigenti scolastici. Le linee guida per la gestione dei focolai nelle scuole messo a punto da Iss, ministero della Salute e ministero dell'Istruzione, prevedono che in caso di febbre o di sintomi compatibili con il Covid-19, i genitori non debbano mandare i bambini a scuola. E se il minore si assenta per più di tre giorni per la riammissione a scuola è necessario un certificato che il pediatra potrà compilare solo a fronte del responso del tampone.
«Tra qualche settimana si svuoteranno le classi sia per numero di contagiati che di sospetti», spiega Biasci. «La procedura è chiara: il medico fa richiesta di tampone al dipartimento di prevenzione (la Asl), la domanda viene recepita e presa in carico, a quel punto il genitore viene chiamato per un appuntamento, il tampone viene eseguito e poi bisogna attendere la risposta. Se le richieste di tamponi sono tante, il bambino resta a casa una settimana, 10 giorni. Magari, nel frattempo, il raffreddore è passato ma dobbiamo comunque attendere».
E nel frattempo il bambino perde giorni di scuola e i genitori mancano da lavoro.
«Che la scuola sarebbe stata una grossa scommessa lo sapevamo tutti», osserva ancora Biasci. «Piuttosto - rincara il presidente di Fimp - se il governo ci avesse coinvolto ai tavoli ora saprebbe quante richieste di assistenza per influenze, raffreddori e simili riceviamo in inverno: almeno 30 telefonate al giorno».
Poi Biasci chiede: «Le Regioni hanno acquistato abbastanza reagenti, hanno organizzato i drive through, che per i bambini è una soluzione di gran lunga più facile? Il tempo c'è stato, ora inizia la riprova».
E se i tamponi mancano o i tempi si dilatano? Non si può decidere non sottoporre il bimbo al test in caso di sintomi lievi?
«E’ pericoloso sotto due punti di vista», dice Biasci. «Il primo è sanitario: dobbiamo essere sicuri che il bimbo non contagi i compagni, i maestri e i bidelli tra i quali potrebbero esserci anche persone in là con l'età o con patologie a rischio».
La seconda è rischiosa a livello giuridico.
«Dal bambino positivo si risale al suo pediatra che in quel caso ha scritto nero su bianco che il certificato è stato rilasciato dopo aver sottoposto il paziente a un percorso assistenziale anti-Covid (che non c’è stato)».
«Il cerino in mano resta ai pediatri di famiglia. Tutti parlano sulla nostra pelle, tutti dicono che dovremmo chiudere un occhio ma non è possibile».
Un aiuto nel velocizzare l’iter potrebbe arrivare dai test salivari rapidi.
«Ci auguriamo che siano validati presto. Ad oggi non lo sono, ma pare che l’Iss stia valutando l'approvazione».