«Non è una missione perché davanti ad un virus che minaccia il mondo, ti dicono di indossare una tuta bianca, un casco, una mascherina che non fa respirare, tre paia di guanti… e di mettere da parte la tua paura e andare tra quei letti. La nostra è una professione, alla quale mi inchinerò sempre con rispetto»
«La prima cosa che ti viene insegnata, quando decidi di fare l’infermiere, è che la nostra non è una missione, ma UNA PROFESSIONE.
Non è una missione, ma i libri non ti insegnano come mediare tra la tanta sofferenza che dovrai affrontare, e mantenere intatta la tua identità.
Non è una missione, ma dovrai imparare a non perdere la tua umanità, la tua capacità empatica con il paziente e salvare te stessa, senza crearti una corazza di insensibilità.
Non è una missione, perché la manualità è solo una piccola parte, di ciò che andrai a fare, e la tua mente dovrà rimanere recettiva a tutto ciò che sarà il progredire di una professione in continuo mutamento e in continua evoluzione.
Non è una missione, ma dovrai imparare da sola, cosa significhi lasciare prima della porta del reparto, i tuoi problemi, e chiudere nel reparto, il mondo del lavoro.
Non è una missione, ma dovrai imparare a sorridere, perché i tuoi pazienti, avranno anche bisogno di un sorriso, di una carezza.
Non è una missione, ma dovrai affrontare la morte, le sconfitte, le lacrime e il dolore.
Non è una missione, ma dovrai consolare il medico che ha perso un paziente e mentre accarezzi la sua sconfitta, la sua sofferenza, accarezzerai anche te stessa perché l’umanità di chi curi si tramuta nella tua.
Non è una missione, ma troppe volte penserai a quella frase che urlasti a te stessa: «NON VOGLIO FARE UN LAVORO DOVE VEDRO’ MORIRE BAMBINI!» e quello scarponcino rosso, trapuntato d’oro, poggiato sulla piccola sagoma coperta da un telo verde, tornerà per sempre nei tuoi sogni.
Non è una missione, ma negli anni penserai ai tanti Natali, alle tante feste che non avrai passato con i tuoi cari, ma tra le corsie di un ospedale.
Non è una missione, ma imparerai che “una pizza con gli amici” sarà scandita dai turni.
Non è una missione perché davanti alle accuse, ai luoghi comuni, a quel: «Stanno sempre a prendere il caffè…», tu penserai alle volte che torni a casa trascinando le gambe stanche e gli occhi pieni di sonno.
Non è una missione perché davanti ad un virus che minaccia il mondo, ti dicono di indossare una tuta bianca, un casco, una mascherina che non fa respirare, tre paia di guanti… e di mettere da parte la tua paura e andare tra quei letti.
La nostra non è una missione, ma una professione.
UNA PROFESSIONE DAVANTI ALLA QUALE, IO MI INCHINERO’ SEMPRE CON RISPETTO».
Fortunata Barilaro