sabato 23 novembre 2024


22/06/2022 08:06:04 - Salento - Attualità

Frammenti di anfore, necropoli, relitti di navi: se ne è parlato in un recente convegno

Il paesaggio costiero è in continua evoluzione, sin dai tempi antichi. Tra i frammenti sommersi di anfore, navi e necropoli si ricostruisce la storia del processo di interazione degli esseri umani con l’ambiente naturale. L’arcipelago di Porto Cesareo (provincia di Lecce) custodisce sia nei suoi fondali che a pelo d’acqua preziose testimonianze della storia antica. A mettersi sulle tracce del passato sommerso del Salento che affaccia sul Mar Jonio gli archeologi del Dipartimento di Beni culturali dell’Università del Salento Antonella AntonazzoLuigi Coluccia e Michela Rugge, guidati dalla professoressa Rita Auriemma, che, grazie a nuove indagini condotte in collaborazione con la direzione locale Area Marina Protetta di Porto Cesareo, hanno arricchito il tesoro di conoscenze conservato tra le acque cesarine. Se n’è parlato nei giorni scorsi nel corso dell’evento conclusivo del progetto UnderwaterMuse - Immersive Underwater Museum experience for a wider inclusion.
Nella zona di mare chiamata “La Pierta”, la baia compresa fra Torre Chianca e Torre Lapillo, su una piattaforma rocciosa a circa 700 metri dalla costa e 4 metri circa di profondità, Mino Buccolieri, consigliere del Consorzio di gestione dell’Area Marina Protetta di Porto Cesareo, ha scoperto grandi concrezioni di frammenti di anfore cementate fra loro e su affioramenti rocciosi del fondale. Con l’erosione ambientale, alcuni resti sembrano dei funghi giganti con i gambi stretti e i “cappelli” allungati. Si tratta di frammenti di anfore nordafricane, provenienti dalla provincia di Tripolitania. La loro omogeneità conferma l’appartenenza a un unico carico navale, dal volume considerevole, probabilmente diretta dal luogo di produzione a quella di consumo, verso l’Adriatico o il Mediterraneo orientale, il cui viaggio si è tragicamente interrotto fra Crotone e Porto Cesareo. Le ipotesi sulla formazione sono ancora dibattute, il carico si è frammentato dall’impatto con il fondale e dalla devastante energia ambientale delle onde. Il costante movimento idrodinamico ha successivamente raggruppato i frammenti sul fondale, raccogliendoli sia in prossimità di speroni rocciosi che in depressioni.
Altre importanti scoperte hanno interessato l’area. La prima riguarda il sito archeologico di Scalo di Furno, un insediamento costiero occupato, quasi senza interruzioni, dal Bronzo medio iniziale (XVII-XVI secolo a.C.) alla Tarda età del Ferro (V-VI secolo a.C.). Grazie all’indagine archeologica subacquea dell’area, è stato rinvenuto un muro sommerso lungo circa 17 metri. L’altro ritrovamento riguarda invece un’ampia area pavimentata con centinaia di frammenti di ceramica artigianale locale e molti frammenti di ossa animali. Entrambi i contesti dimostrano un significativo cambiamento della geografia costiera: tutta l’area, oggi sommersa, era terraferma durante l’Età del Bronzo e rappresentava la terrazza inferiore dell’insediamento.
Anche sul promontorio di Torre Chianca e sulla punta del Belvedere si trovano altri resti della stessa epoca e testimonianze di un’intensa frequentazione in età romano-imperiale: resti di muri e depositi di un insediamento forse legato allo sfruttamento delle risorse marine, come suggeriscono gli strati ricchi di conchiglie.
Ma a pochi passi da qui, tra terra e mare, è incastonata una necropoli in uso fino alla tarda età imperiale. A testimoniarlo sarcofagi corrosi e frammentati, coperchi con acroteri angolari, tombe  a cappuccina, stele funerarie e resti di scheletri. La campagna del 2021, grazie alle segnalazioni di Mino Buccolieri, ha messo in luce una porzione di necropoli totalmente sommersa al centro dell’insenatura compresa tra Torre Chianca e la punta del Belvedere, a circa 2 metri di profondità. Durante la stessa campagna, è stato ritrovato un altro insediamento sull’Isola dei Conigli, ben visibile sul versante occidentale dell’isola, che presenta fondazioni murarie, resti di pavimentazioni e un’ampia concentrazione di reperti archeologici sparsi. I cambiamenti significativi del paesaggio marino costiero sono attestati da reperti archeologici e depositi antropici sugli isolotti dell’arcipelago di Porto Cesareo, datati dal periodo arcaico a quello romano-imperiale, in particolare sull’Isola della Malva, nonché dalle strutture parzialmente sotto il livello del mare sulla penisola di Strea. La cava di Torre Castiglione, riportata alla luce dalle potenti mareggiate del 2019, è una preziosa testimonianza di un diverso paesaggio costiero antico: oltre al grande giacimento sulla riva, blocchi rettangolari di varie dimensioni si trovano fino a 2,10 metri sotto l’attuale livello del mare.
Di particolare rilevanza sono anche i relitti di navi che si trovano sui fondali di Porto Cesareo. Nei pressi di Torre Chianca è stato rinvenuto il carico di una nave lapidaria romana, composta da cinque colonne monumentali e da un blocco di marmo cipollino proveniente dalle cave di Karystos, in Grecia. Le colonne sono lunghe circa 8,8 metri, con un peso totale di 78 t, e si trovano a una profondità di 4,5 metri. Le ultime indagini hanno permesso di completare il rilievo fotogrammetrico e il modello 3D della nave e, grazie a una proficua collaborazione tra l’Università del Salento, l’Università di Venezia, l’MPA Porto Cesareo e il CETMA, è stata progettata e sviluppata un’applicazione di realtà virtuale che consente agli utenti di esplorare l’ultimo viaggio della nave in modo immersivo. Infine, sono presenti due relitti spiaggiati: il primo è un relitto bizantino, risalente a IX -X sec. d.C. nei cui pressi è stato rinvenuto un anello sigillo d’oro che reca il nome di Basilios, identificato da Paul Arthur con un alto dignitario della corte di Bisanzio giunto in Italia con un’ambasceria recatasi dal Papa nell’868 d.C.











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