lunedì 23 dicembre 2024


09/06/2010 07:10:39 - Manduria - Cultura

DAL MISTICISMO AL PRAGMATISMO

 
 
Ho scritto precedentemente che la lettura di un’opera non è mai “lineare”. Essendo pur sempre un prodotto “scientifico”, essa è il risultato di un processo di analisi e di sintesi del proprio pensiero. Chi non è pensatore non può scrivere. Chi non è filosofo non può analizzare e quindi sintetizzare. Un’opera ha bisogno di queste figure imprescindibilmente.
Perfino l’analizzatore di eventi e fatti, definito genericamente “storico”, esprimerà nei suoi scritti il pensiero ed i processi formativi di cui è stato protagonista e testimone.
Quando un “pensatore” decide di scrivere avrà pur sempre compiuto nel suo “io” un processo che dia vita allo scritto. Il successo di tale scritto è subordinato al processo intimo. Il quale si espliciterà nella triade: pensare, progettare, dare. Nel momento in cui lo scrittore dà qualcosa di sé (non nel senso autobiografico di cui oggi spesso si abusa, ma nel senso del processo di crescita e trasformazione intima) ha raggiunto lo scopo di rendere “profonda” la sua opera. Essa, in altri termini, si è compiuta nella sua mente e nel suo cuore, prima di essere trasferita nello scritto.
Tuttavia l’opera trova nel lettore il giudice, il commentatore, l’esaltazione e la delusione. Non raramente il “quotidiano” elevato a scienza e cultura, rappresenta un argine invalicabile alla comprensione multidimensionale di un’opera. Si apprezzano gli interessi del “breve”, gli umori del giorno, l’appartenenza ad un’epoca e il rifiuto del classico, anche nel senso crociano: “ciò che di bello dura eternamente”.
L’omogeneo e il piatto evocò in Schopenhauer la citazione dei versi di Epicarmo:
 
Non c’è da meravigliarsi in nessun modo che io parli a modo mio
e che quelli, piacendo a se stessi, cadano nell’illusione
di essere degni di lode: così il cane sembra al cane
il più bello degli esseri viventi, e così anche il bue al bue,
l’asino all’asino, e il maiale al maiale.
 
Si desume che non sempre bisogna scrivere per “piacere” e per riscuotere il consenso sulle ali del “pensiero immediato”, ovvero dell’immagine che piaccia all’impatto.
E Goethe…:
 
La parola più felice viene derisa / se chi ascolta ha cattivi orecchi.
 
Spesso quindi è necessario liberarsi del “frainteso culturale” precedente, spogliandosi dei relativi pregiudizi letterari. E Ulisse nel Libro Sesto dell’Odissea:
 
Ancelle, restate in disparte, lì dove siete,
finché mi sia tolto da solo la crosta…
 
E liberarsi della “crosta letteraria” non è forse il presupposto per aprirsi al nuovo e amarlo, prima che una critica “leggera” ne distrugga “il tracciato”?
In “Arthas il Grande”, il mitico Re di Messapia, che “lascia” i reperti archeologici per divenire letteratura ed arte, rinveniamo aspetti inediti dal lato letterario.
1.     Il misticismo. Arthas giunge al porto di Thuria, al tempio… partecipa al rito misterico… Klaohi Zis (ascolta Zeus). …Scintille di luce di ogni colore baluginavano all’interno della grotta formando intorno al principe un vortice luminoso (p. 73). … una volta dentro, s’inginocchiarono a declamare le parole dell’officiante (p. 78), da un capitolo che s’intitola I SEGNI DELLA PREDESTINAZIONE. E successivamente: i culti thurini, MISTICISMO E LOGICA DELLA TETRACTýS (P. 117), che evidenziano il significato della virtù e, attraverso il saggio di Samos, i versi aurei.
Le città messapiche (organizzate secondo la logica e i sistemi del tempo) acquisiscono il senso mistico-religioso-umano, che funge da collante, unisce più del materialismo, del pragmatismo e degli accordi socio-politici. Esso si traduce in un monito all’Europa attuale, che, derivata da un eccessivo laicismo e pragmatismo, non trova quell’unità di spirito, di cultura, di intelligenze e di religioni, che potrebbero effettivamente tenerla unita, al di là delle crisi contingenti dovute a fenomeni gravi, ma, che di fronte ad intenti comuni, rientrano nel contingente “superabile”.
2.     L’amore. Nel cap. XIII - Deíva Narenta e Arthas Plarr suggellano il loro vincolo d’amore, dove Arthas e Deíva attendevano con desiderio quel festeggiamento che sarebbe stato per loro… il momento in cui avrebbero professato il loro amore. Il simbolo è il giuramento eterno… finché morte non separi i due innamorati. Le antiche popolazioni rinvenivano negli stimoli comuni la forza per rimanere unite anche di fronte alle avversità, cosa che si rifletteva nei rapporti interpersonali e sentimentali, diventati sempre più superficiali, contingenti e… pragmatici alla luce di un moderno senso della giustizia, che, invece di curare lo spirito di legame fra i popoli, ne cura gli aspetti particolari e personali, che, se fossero “intimizzati”, avrebbero certamente aspetti positivi, sfuggendo ai drammi del “quotidiano”, unico vero artefice del deterioramento sociale. Presso le antiche comunità prevaleva, paradossalmente ed incredibilmente, il senso dell’universale: l’amore era Amore, la vita era Vita, la lotta era Lotta, il bello era “il bello”.
3.     L’amore per la natura. Lo rinveniamo un po’ ovunque. Particolarmente nel cap. XV ( LA MEGALARTIA DI ORRA), in cui rivivono i tratti mistico-ludico-filosofici, a testimonianza di quanto fosse forte il legame uomo-natura-mente-anima-corpo, presso le antiche popolazioni delle nostre terre.
4.     Il simbolismo nella Messapia. È il leone, che simboleggia la Messapia: il re degli animali, della foresta, dell’inesplorato, della verginità, della purezza. Il leone, l’animale orgoglioso, che non striscia, che guarda in faccia la realtà, che ha cuore… di leone, che vince, che supera, che ha l’arma anche della bellezza e dell’estetica… Un giusto simbolo per una giusta causa… la vittoria, ottenuta attraverso la lealtà e senza tradimenti.
5.     L’arte e il senso artistico. In copertina anteriore troviamo l’immagine di Arthas. Il leone la sormonta: il personaggio ed il simbolo in una “diade” ideale, che, in un altrettanto ideale epidiascopio, potrebbero fornirci una “dimensione” sfumata, cangiante, variabile, una lettura attraverso i tempi che mutano. Considerando che il leone sormonta Arthas, si scandisce che il simbolo “supremo” della Messapia è, pur sempre il leone, ma Arthas, in qualità di grande re, lo nobilita al di là dei suoi attributi naturali. È un rapporto sinergico, in cui Arthas accetta il dominio del leone, che, a sua volta, è felice dell’ideale unione con Arthas. La retrocopertina reca l’immagine di Deíva: un simbolo d’amore che lega le due parti artistiche del libro. Non so precisamente quale sia stato il criterio seguito dalla Prof. Maria Luisa Barbuti nella scelta dei due personaggi. Mi pare di poter desumere che, al di là dell’importanza connessa al testo, ha voluto creare un ideale collante sentimentale fra Arthas e Deíva, trasferendoli nella realtà artistica.
6.     L’universalità di Arthas. L’Autore, di volta in volta, ci offre spaccati di attuale interpretazione degli eventi di cui fu protagonista Arthas. Il rispetto delle origini, il culto degli antenati (come nell’antica tradizione giapponese ed indiana, così in noi, se siamo puri nello spirito e aperti nella mente), la grandezza del “classico” e la sua visione in chiave moderna, fanno di Arthas il Grande un “classico”, che esce dalla Messapia per consegnarsi al mondo.
 
Da quanto analizzato si può concludere che il libro di Fernando Sammarco pone tematiche contemporanee e, attraverso lo studio degli antichi misteri, riporta la mistica a peculiarità finora inedite…una mistica congiunzione che non ha potenza minore del vincolo del sangue: Cum mystica conjunctio vim non minorem hic habeat: quod in exemplo Regis et populi maxime apparet. (Ugo Grozio, Opera omnia theologica – p. 312).   
 
Dr. Eliano Bellanova
Vice Presidente Ethairìa I LEONI DI MESSAPIA
Presidente L’Araba Fenice Edizioni Magna Grecia










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