I care
“SOS, e mò che famo”: comincia con questa giaculatoria quotidiana la giornata sempre piena di sorprese degli operatori del CIR, il Consiglio Italiano per i Rifugiati, sito in viale Marche, 17, a Lecce, minimo esponente di un m.c.m esteso in tutta la penisola, isole comprese.
Lo sportello della città del Barocco, formalmente aperto dalle ore 9.30 alle 12.30, dal lunedì al venerdì, quanto in realtà operativo h.24, fa dell’Ecce Homo il logo in assoluto del per gratis et amore Dei.
Sì, il pool degli avvocati, dei volontari, degli operatori nel call center linea hot dell’emergenza, in balletto dal sorgere del sole al suo tramonto, affoga il suo impegno tra un addio ai monti di manzoniana memoria, riveduto e corretto in versione trendy terzo millennio, e magari il desiderio di una carrambata a buon mercato, risolutiva di tanti cold case, tra una sponda e l’altra degli oceani.
Protagonisti i tanti immigrati, che come Colombo, gridano “Terra, Terra... “ nelle quattro mura della villa antica, fortino dello sportello, nell’attesa di una qualche grazia, da depositare nella forma del maneggiare con cura, al muro del pianto, per delicatezza, difficoltà, con tendenza alla mission impossible.
Quotidianamente, in questa landa di terra franca, di tutti e di nessuno, si compie il miracolo della serena convivenza dei popoli, o almeno di quelli che vedono divenire il
miraggio della libertà, la brutta copia di un progetto in divenire, fumetto di tante storie limite, difficili finanche da immaginarsi, che portano la cronaca, fuori dal tubo catodico, per innestarla nella disperazione, di quanti, pur animati da tanta buona volontà, vedono schiacciare il loro cuore da un qualche comma o articolo di legge.
I colori molto Benetton dell’ecumenismo del bisogno, si trovano a conclave con il loro carico di speranze, per un ricongiungimento familiare, un lavoro, per la richiesta di un permesso di soggiorno, che regala il sogno di una vita migliore, magari fuori dal portico della casa di Barbie, per un lussuosissimo cartone doppia piazza alla francese, con vista sui treni della stazione o per i più fortunati, un attico di estrema povertà su qualche
campo di fortuna.
La partita doppia del codice rosso in allarme continuo, passa tra la necessità di trovare un posto in cui vivere, civile e pulito, tangenziale, o casa di appuntamento a parte, tanto per scongiurare i pericoli in cui gli operatori si imbattono, ed una più banale, quanto essenziale voglia di un cambio pulito, di una doccia, di una breve sosta alla toilette, di un sapone che profuma nei pensieri più di quanto non accada sullo scaffale del supermercato.
Nomi improponibili, quelli degli utenti, specchio di una cultura pedigree al seguito, certificata dal DNA che si lega alle tante situazioni politiche, sociali raccontate in qualche finestra dei media, che portano a portata di mano quei luoghi di provenienza ignorati anche da Dio o dagli dei, per non parlare dell’ignoranza dei tanti studenti refrattari a conoscere storie di uomini e di mondi, metafora di un mondo che cambia e globalizzato non solo nei meridiani ed i paralleli, ma nella lotta alla sopravvivenza.
L’orgoglio impresso sui loro abiti, una vera e propria sfilata ispirata alla bellezza delle tradizioni, delle confessioni religiose, riassunte in una foto sul telefonino, ed un qualche numero di scorta da chiamare in una fredda nottata di inverno, in cui la certezza di farla franca non è garantita.
La baraonda dei sentimenti sconvolge e stravolge qualsiasi certezza del benessere, finestra di una insoddisfazione di massa che mal si concilia con quell’unico filo conduttore che lega la storia di ciascuna di queste monadi, che improvvisamente ci ricordano che l’ideale francescano del compiere i miracoli con la sola forza dell’amore non è cosa dei politici, cui basterebbe una sola ora di stage o di tirocinio, svincolata dalle brevi e rappresentative visite di cortesia, tra un campo e l’altro, per rendersi conto che la sola razza che esiste è quella umana, e le differenze, solo una avariante del tema
dominante giusto per fare il mondo bello perché vario.
Diverso è meglio! Il prossimo, l’emigrante della porta accanto con qualche goccia di kebab prima di andare a dormire, nudi a letto come la Monroe, di una qualche spezia di paesi da mille ed una notte, che rendono le favole ancora più favole.
Basta esporsi alla finestra per vedere la bussola del loro cuore puntare verso il sole che aspetta di sorgere per tutti, oltre la sponda di un mare in cui si riflette l'immagine di chi abbiamo lasciato mentre i loro pensieri fanno rumore, tanto rumore.
Mimmo Palummieri