lunedì 23 settembre 2024


20/11/2011 09:45:32 - Manduria - Cultura

La necessità di difendere e tutelare le bellezze archeologiche e ambientali del nostro territorio

 
La storia del nostro Paese, Manduria, seppur piccolo e all’apparenza quasi insignificante rispetto alle grandi, numerose, fastose e attraenti città di oggi, ha una storia molto antica. Dopo i fasti del periodo ellenistico del quale numerosi sono i reperti rinvenuti nelle varie campagne di scavi archeologici a partire dagli anni '60 del secolo appena trascorso, fu conquistata dai Romani nel duecentosessantasie a.C., in seguito abbandonata dai suoi abitanti ma risorta a nuova vita ad opera di Ruggiero il Normanno finchè, nel XVIII secolo, riprese l’antico e glorioso nome di Manduria.
Numerosi sono quei personaggi che, oltre ad esser passati alla storia, sono anche passati tra le mura del nostro Paese, che hanno passeggiato per le sue lunghe ed antiche strade, che hanno regalato (alcuni) ad essa il loro ultimo respiro: è il caso di Archimede figlio di Agesilao, come afferma lo storico Plutarco, il tre agosto del trecentotrentotto a.C., giorno della battaglia di Cheronea nella quale Filippo II, padre di Alessandro Magno, sconfisse i Greci.
Manduria, con altri centri del territorio messapico, riuscì a mantenere la propria indipendenza, riuscì a resistere alla forte città di Taranto. Dovette, però, capitolare a Roma che successivamente sottomise l’intera penisola salentina. Ha inizio così un periodo buio per la città di Manduria. Dal duecentonove a. C, la città entra a far parte dello Stato romano, risorgendo però nel millenovanta, ma i suoi abitanti oramai si erano dispersi nei vicini casali, nelle campagne, pur di sfuggire alle razzie continue dei vari invasori che si susseguirono nel periodo più difficile non solo della storia della nostra Terra ma dell'intera penisola.
Certamente la città subì, nel tempo, altre distruzioni e deportazioni degli abitanti ad opera dei Saraceni, e degli Agareni ma nonostante tali distruzioni la città conservò quasi interamente le sue poderose mura megalitiche che ancora oggi s’impongono, purtroppo quasi del tutto ignorate agli occhi dei suoi cittadini.
L’etimologia del nome del nostro Paese riconducibile al nome di “Fattoria” o “Luogo di allevamento di cavalli” rispecchia un pò le umili origini dei nostri avi, dediti contadini e allevatori che han trascorso tutta la loro vita tra una zappa e una zolla di terreno, pronti a far fruttar quel territorio, lavorato con orgoglio rispetto, con ardore, con passione, quel territorio che noi, oggi, quasi senza rendercene conto, calpestiamo irrispettosamente. Calpestiamo ignorando, dimenticando, seppellendo tra una suola e l’altra, secoli e secoli di storia, di conquiste, di rivolte rinascite e soprattutto di splendore, di meraviglie incise sulle nostre pietre, impregnate nella spiaggia del nostro mare, cantate dalle urla del nostro vento.
Eppure, in un modo o nell’altro, non siamo in grado di trasmettere la bellezza delle storie, delle avventure che han cucito le radici di questo nostro antico bel Paese che ha in sè un animo molto più profondo rispetto a tanti altri Paesi che hanno molto meno da raccontare, perchè hanno visto troppo poco per potersi permettere di stupire veramente gli uomini.
La storia del nostro Paese, l’Italia, è una storia lunghissima, appassionante ma soprattutto antica, ben duemila anni di storia a differenza di quegli appena cinquecento anni di storia che segnano il continente americano. E’ quindi nostro dovere di cittadini
moderni, di quest’epoca, di questo millennio curare, arricchire, vantare il passato cui ha assistito quel sole che tutte le mattine risplende sopra i nostri tetti. Abbiamo un milione di cose da raccontare, Manduria è un affascinante libro antico: rifoderiamolo, irrobustiamo le sue pagine orgogliosamente ingiallite dal tempo ma ancora intatte. Permettiamo al mondo di leggerle, perchè anche quelle pagine hanno contribuito alla storia che ha segnato gli uomini. Quello che siamo oggi, il benessere che bene o male siamo riusciti a costruire con fatica, che siamo riusciti a raggiungere, è merito della storia, degli errori dei nostri avi che ci hanno spianato la strada, e tra le pagine di quella storia, tra le righe che potremmo leggere su quella carta che appartengono alla Storia che ha segnato il mondo, vi è anche il contenuto di quei vecchi pezzi di carta ingialliti che appartengono alle nostre mura, al nostro mare, al nostro Paese, a Manduria.
Che noi non curiamo, non restauriamo, in cui noi non curiosiamo, che noi non proteggiamo, che noi quasi totalmente ignoriamo! E che, fa male dirlo, danneggiamo.
Il nostro mare. San Pietro in Bevagna è il nostro mare, è la nostra spiaggia, è la terra dei nostri antenati, ora nostro territorio. E’ una delle coste più belle d’Italia, questa spiaggetta appartenente a questo nostro piccolissimo Paese, che poi tanto spiaggetta non è visto che si parla di diciotto chilometri di costa azzurra, diciotto chilometri di acque limpide, pure come acqua santa, che rispecchiano il cielo, i nostri occhi, e i nostri animi di cittadini ingrati, che ci sputiamo dentro come fossero pozzanghere giganti, quelle acque.
E’ una cosa ingiusta! Dovremmo ringraziare ogni giorno la natura di quello che involontariamente, senza alcun motivo, ha voluto regalarci, e invece cosa facciamo? Non solo ignoriamo e non proteggiamo la storia e le mura del nostro Paese, della nostra spiaggia, ma la maltrattiamo anche! Come fosse un bambino maleducato, più che un bambino buono, generoso, che ci dà amore chiedendoci esclusivamente di ricambiare. Nulla di più.
E invece no: non solo non ricambiamo quell’affetto, ma lo sostituiamo addirittura con altri sentimenti appartenenti al lato più oscuro ed egoistico non solo del semplice cittadino, ma dell’uomo in sè per sè. Siamo irrispettosi nei confronti di quello che abbiamo, di quello che, chissà perchè, ci è stato affettuosamente regalato, donato. Siamo arroganti perchè ci infischiamo delle conseguenze che talvolta (anzi spesso, anzi sempre) le nostre azione potrebbero provocare al nostro territorio. Sveglia, gente! Ho detto nostro, nostro territorio! E’ nostro, è bello bellissimo, ce lo invidia il Nord, quell’antipatico e orgoglioso Nord che a livello territoriale non ha neppure una decima parte di quella spiaggia che ci ritroviamo noi, manduriani, oggi. Ce lo invidia quasi l’intera Italia, e spesso è anche stato ammesso, e noi cosa facciamo? Invece di tenercelo stretto stretto, invece di proteggerlo ed amarlo lo meniamo. Lo meniamo ferendolo con quelle sudice cartacce, con quell’immondizia, con quelle schifezze che ci lasciamo addietro manco fossimo bidoni viventi.
E questo, soprattutto e (per fortuna) quasi esclusivamente accade in estate, non si osi immaginare cosa sarebbe San Pietro oggi se fosse abitata anche d’inverno: ventiquattro ore su ventiquattro la gente consuma ed espelle, si libera delle scorie dove le capita, come nulla fosse, totalmente indifferente.
Si mangia un gelato in spiaggia, stesa sulla sdraio, sotto questo bel sole cocente? Benissimo, il gelato è buono, soprattutto verso l’ora di pranzo, rinfresca, è buono, da invidiare a chi ce l’ha se io non ce l’ho, lo mangio, lo consumo tutto e poi la carta la getto nella sabbia. La seppellisco, così la mamma, gli amici, il ragazzo o la ragazza non mi vedono e non ci faccio una brutta figura; ma sarebbe anche più comodo gettarla lì immediatamente senza neppure doversi prendere il disturbo di doverla seppellire, quella carte di quel buonissimo gelato, perchè pochi metri più in là anche la mamma, anche gli
amici, anche il ragazzo o la ragazza o tutti e due insieme si accingono a buttare la medesima carta del medesimo gelato fregandosene. Senza un minimo di presa di coscienza, zero, come se nulla fosse.
Eppure il bidone è qualche metro più in là; così grazie a me, grazie a te, grazie alle tue mamme, ai tuoi amici, alle tue nonne, quella spiaggia che persino Cristo c’invidia diventa un porcile. E fossero solo le carte di gelato.
Per non parlare delle feste, di Ferragosto, di quelle spiagge che diventano falò viventi, fumo, diossina, inquinamento personificati. Ma si potrebbe anche fare, per carità: così come ebbe la possibilità di riposarsi e festeggiare Augusto il quindici agosto, dobbiamo averla anche noi, certamente.
Peccato che Augusto non inquinò diciotto chilometri di costa per festeggiare un pò, o, se lo fece, almeno raccolse quello che seminò in quella lunga, bellissima notte di baldoria. Almeno ebbe quella compiacenza.
Forse perchè lui amava quel territorio. Si, forse lo protesse dal suo stesso sterco perchè lo amava, e non perchè quello era uno dei territori più belli dell’intera Repubblica Italiana, non per quello, ma perchè era il suo territorio, la sua casa. Era casa sua, e gli voleva bene. Voleva bene alle corolle dei fiori che adornavano i suoi prati, voleva bene a quella brezza fresca che gli dava sollievo in una di quelle eterne notti d’estate, voleva
bene a quelle acque, allo specchio dei suoi occhi, quindi della sua anima. Si: voleva bene allo specchio della sua anima.
E noi?
Va riconosciuto ai cittadini, ai manduriani, però, il merito di aver protestato quest’estate, estate duemilaundici, contro lo scarico a mare del depuratore. Si era in tanti, ma non tutti, quindi non abbastanza, perchè al momento dell’attacco, tutto il popolo deve schierarsi contro il nemico, contro il cosiddetto Potere, formando uno scudo semplicemente con la forza delle proprie idee, dei propri ideali assolutamente contrari all’inquinamento, qualunque esso sia od in qualunque luogo esso venga incrementato, con la forza del proprio orgoglio personale, del proprio amore, disinteressato, incondizionato per il nostro Paese, per lo specchio delle nostre anime ovvero il nostro mare, per quelle pagine ingiallite che racchiudono la nostra fulgente
Storia.
Come gridò in un impeto d’orgoglio uno dei più noti e acclamati portavoce quel giorno in cui si svolse il corteo contro quel maledetto depuratore che vuole uccidere, deturpare il nostro mare, il nostro orizzonte, gridiamo: “Gli orizzonti del Sud sono arcobaleni, no scarico a mare no altri veleni!”.
 
Chiara Elena D’Ostuni










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