lunedì 23 settembre 2024


26/07/2012 06:54:53 - Manduria - Cultura

Pittrice e scenografa con importanti esperienze a Roma, ora inizia a scrivere anche sceneggiature per il teatro

 
Manduria: terra di vini, mare, sole e antichi monumenti, come recita un noto titolo di richiamo turistico. Ma anche, non proprio inaspettatamente (siamo pur sempre su un lembo, anche se un po’ troppo spesso dimenticato, di suolo italico…) terra di creativi, a tutti i livelli. Cinematografico, fotografico, letterario, musicale, artistico in senso lato.
Oggi facciamo due chiacchiere con una di essi, la giovane scenografa Antonella Musiello, che ci colpisce, come ogni talento creativo, proprio per il fatto di aver deciso di consacrare una parte importante del proprio tempo all’espressione artistica. Gia’ di per se’ questo è un fatto destinato a suscitare ammirazione, comunque. Ancor più oggi, cioè in un momento della nostra storia in cui centinaia di carriere professionali deviano verso discipline scelte solo per esigenze di ordine economico, che di creativo purtroppo hanno ben poco, almeno in senso classico.
Un percorso professionale centrato sull’arte, ovviamente quando riesca a sottrarsi alla schiavitù della moneta, è decisamente un’altra cosa. Consideriamo per esempio la pittura: la meraviglia che suscita in noi un po’ di colore steso su un qualsiasi supporto, da quello usato per un concorso di provincia a quello preparato per una esposizione in una prestigiosa galleria continua a riprodursi, senza sosta. Per quanto di magico reca con se’ ogni immagine dipinta. Anche con il desiderio, non proprio segreto, di conoscere cosa vi si nasconda dietro, cioè nell’interiorità dell’artista.
Antonella, quando ha avuto inizio il tuo percorso creativo?
«I primi passi li muovo al liceo artistico “Lisippo” di Manduria, a cui mi iscrivo nel 1996. All’inizio non ero neanche consapevole di avere questa inclinazione verso una creatività di tipo figurativo. Mi diplomo nel 2001 e, dopo un anno sabbatico, in cui peraltro dipingo molto e con soddisfazione, finalmente, dando corpo ad un sogno, decido di trasferirmi a Roma nel 2002. Nella capitale frequento il DAMS di Tor Vergata, appassionandomi al cinema e soprattutto alla scenografia teatrale, laureandomi nel 2006 in Storia, scienze e tecniche della musica e dello spettacolo, acquisendo poi la laurea specialistica in Teatro. Fra le due lauree frequento un Laboratorio di scenografia, esperienza decisiva, e nel 2010 collaboro come assistente scenografa con il Teatro Vascello di Roma, esperienza breve ma molto significativa. Ultimamente, ho collaborato con il teatro Argentina di Roma, in particolare con Gabriele Lavia, come assistente scenografa per la piece teatrale ”I masnadieri”, da Schiller. Ma è stato con la partecipazione a “Le baccanti perdute”, per la regia di Marco Mattolini, che mi sono finalmente sentita più responsabile nell’ambito dell’allestimento della  scenografia e dei costumi. Ricordo comunque che, mentre facevo tutte queste esperienze, continuavo a dipingere».
Nell’ambito della tua creatività, ti senti più tuo agio con il piccolo formato (foglio, tela, tavola) o con quello più grande (quinta teatrale), oppure non fa nessuna differenza?
«Non pensavo di trovarmi a mio agio con i grandi supporti, ma da quando ho fatto esperienza di scenografia teatrale, mi sono accorta di poter tranquillamente lavorare su supporti di qualsiasi dimensione. E’ stato nell’ambito della mia esperienza al Laboratorio di scenografia che ho capito di poter lavorare bene anche su formati decisamente inusuali, come quello di una “quinta” teatrale».
Parliamo un po’ della tua esperienza come pittrice, nel senso tradizionale del termine. Relativamente alle opere di cui scegli tu stessa il soggetto (quelle cioè i cui temi non ti sono commissionati) ci sono fantasie particolari, vere e proprie “ossessioni” che ti si presentano alla mente e cerchi di materializzare nei dipinti, quasi a volerle chiarire a te stessa e così liberartene?
«Più che di fantasie, si tratta di stati d’animo, prodotti da esperienze di vita o letture fatte. Mi ispirano spesso Shakespare e, ultimamente, le letture di Samuel Beckett, di cui mi si imprimono nella mente le situazioni più assurde, surreali. A parte questi due riferimenti letterari ad autori specifici, mi capita spesso di usare la pittura a scopo “terapeutico”, cioè per esternare quello che ho dentro, e probabilmente, lo riconosco, mi riesce molto meglio di quanto sia in grado di fare con le parole. Anche se da qualche tempo faccio anche l’esperienza della scrittura. Mi dedico in particolare alla realizzazione di sceneggiature per il teatro, racconti più o meno fantastici, in cui ricorre sempre l’elemento surreale. Lo dichiaro senza reticenze: mi piace immaginare situazioni “impossibili” a concretizzarsi nella realtà…».
Si distinguono con evidenza, tra le opere del piccolo “portfolio” che cortesemente ci  hai inviato, “Anime e corpi gemelli”, “Sogno di volare a Roma”, “Rabbia”, “Morte”. Sono tutte, tranne il primo, materializzazioni di tuoi stati interiori, che ci colpiscono sia per l’uso che fai del colore (pare tu prediliga le tonalità accese, riducendo al minimo l’uso del chiaroscuro) sia per come riesci a dare forma a tuoi stati d’animo. In “Morte”, per esempio, si proietta nell’osservatore una sorta di “visione” a metà tra il reale e l’immaginario. E’ soprattutto in questi momenti che ti riconosciamo come “creativa”e ti apprezziamo particolarmente, piuttosto che nei pur riusciti esperimenti di disegni dal vero o nelle riproduzioni  di opere più o meno famose. E’ effettivamente qui che riesci a dare il meglio di te stessa?
«Direi di si. Sento che la mia ispirazione migliore si concretizza più nella rappresentazione esteriore dei miei stati d’animo, che nella illustrazione  di temi noti, o altri soggetti reali. In “Morte”, per es. , mi è capitato di associare ad una visione reale, avuta quando ero a Roma, l’idea di una situazione negativa che accadeva o stava per accadere in quel momento. In realtà, l’opera rappresenta rondini in volo, un po’ caotico, sullo sfondo di un cielo piuttosto cupo e trasfigurato…
Un’opera a cui sono molto legata è anche”La nave dei folli”, realizzata nel 2007, che partecipò a un concorso di pittura a Roma. Tratto dal titolo di un poemetto di Sebastian Brandt che ebbe grande diffusione e fortuna nel Rinascimento, rappresenta i geni, gli artisti, che con le loro creazioni, percepiscono tutto ciò che li circonda e se stessi in maniera diversa e surreale. I corpi umani con volti di animali rappresentano il loro reale aspetto. I volti degli artisti sono animali, perché questi ultimi  sono gli esseri più genuini e incontaminati dalla ragione e dalla follia (quella vera) dell’uomo. I veri folli in realtà sono coloro che credono di sapere tutto e non sanno nulla e che non capiscono il vero valore dell’Arte. Regna nell’opera, come spesso nelle mie creazioni, un’atmosfera visionaria».
Chiudiamo con una tela che ci pare significativa, già a partire dal titolo, “Sogno di volare a Roma”, del 2002. Visione onirica, che prefigurava, nella tua fantasia, l’incontro con la Città Eterna, poi effettivamente avvenuto. Hai studiato a Roma alcuni anni e sei diventata scenografa. La capitale si è manifestata come la immaginavi? Ci torneresti volentieri? Viceversa, ti piacerebbe esporre in  una mostra antologica le tue opere più significative a Manduria, la città in cui sei nata, ti sei formata, attualmente risiedi e che, pur tra tante contraddizioni, continua ad essere feconda di stimoli creativi, a più livelli?
«Dopo un primo periodo di ambientamento, un po’ problematico, mi sono affezionata a Roma, ho iniziato a viverla di più e a conoscerla meglio, chiaramente ho conosciuto anche i romani, gente socievole e simpatica. Ci tornerò, dal momento che ho un progetto in corso, un po’ ambizioso, cioè la formazione di una compagnia teatrale, che del resto annovera già alcuni elementi, in particolare due sceneggiatori, me stessa come scenografa, un critico teatrale, una direttrice artistica. Mi piacerebbe d’altro canto esporre anche a Manduria, ma in un posto che possa davvero valorizzarmi. Il problema di Manduria è che a tutt’oggi non esistono, a parte la saletta di qualche pub, veri e propri spazi espositivi o contenitori culturali per i talenti vecchi e nuovi. Il chiostro del Comune, che talvolta ospita mostre d’arte è in realtà uno spazio piuttosto squallido, almeno per quanto riguarda l’ala non restaurata. Potrei però esporre, se ce ne fosse l’occasione, a palazzo delle Servite…».
Manduria o Roma, ti auguriamo il meglio .Grazie del tempo che ci hai dedicato, Antonella.
«Grazie a voi dell’attenzione, e alla prossima…».
 
Nicola Morrone
 
 
(Immagine allegata:” La nave dei folli”, olio su tela , 2007)










img
Cucina d'asporto e Catering
con Consegna a domicilio

Prenota Ora