lunedì 23 settembre 2024


02/04/2014 19:32:01 - Manduria - Cultura

Si intitola “Fave e favelle”

Rappresentava un alimento primario nei periodi di ristrettezze. In tempi più recenti è stata inserita, per le sue proprietà nutrizionali e naturali, nelle sane proposte di alimentazione mediterranea. Carica di significati simbolici, allegorici e magici, la fava compare in tantissimi adagi salentini, anche con significato metaforico e analogico: “No passa mai ti la farmacia, ci mancia fai ogni dia” (non passa mai dalla farmacia chi mangia fave ogni giorno), oppure “Binchimi ti fai e corchimi” (saziami di fave e fammi coricare, per indicare persona priva di interessi), solo per fare alcuni esempi.
La favella, invece, è la lingua, il linguaggio o la parlata.
L’ultimo straordinario lavoro di ricerca nel settore dell’etnobotanica di Domenico Nardone, Nunzia Maria Ditonno e Santina Lamusta, edito da Centro di Studi Salentini, si intitola proprio “Fave e favelle” perché “si ispira alla pianta come espressione  simbolo di tutte le piante e alla lingua come espressione di tutti i dialetti delle tre province in cui è stata condotta la ricerca”.
L’opera (che ha come sottotitolo “Le piante della Puglia peninsulare nelle voci dialettali in uso e di tradizione”), di quasi 600 pagine, è suddivisa in tre ampie sezioni: quella dedicata alle “Voci dialettali delle piante ed espressioni attinenti”, quella che contiene le “Schede etnobotaniche” e la terza, che è la “Tabella delle proprietà e degli usi”. Nella parte finale del volume, di grande utilità, gli indici, suddivisi per nomi italiani e regionali delle piante; nomi delle specie; nomi delle famiglie; nomi non italiani (albanesi, arabi, francesi, greci, inglesi, latini, spagnoli, tedeschi); gli antichi medicamenti; i nomi di persone e di luoghi.
Una ricerca vastissima e scrupolosa, riteniamo unica in questo genere per completezza, che abbraccia l’intero Salento e segue un’altra opera di grande pregio degli stessi autori: “Sapori e aromi da piante e frutti spontanei della Puglia peninsulare”.
«Leggere questo libro è, per ognuno, come ripercorrere la propria vita, guardarsi allo specchio e scoprirsi negli altri, genitori e avi che il nostro mondo hanno voluto e modellato per noi» scrive lo storico Rosario Jurlaro nell’introduzione. «Ed è anche come entrare nella storia e sentirsi protetti e innalzati da animi forti per conquistare, non solo con gli occhi, più ampi orizzonti».
Oltre alla descrizione precisa e puntuale di quanto vi è stato e vi è delle piante, delle loro parti e frutti, sono ricordate e spiegate le utilizzazioni, come alimenti e medicamenti, nell’industria e nell’artigianato.
Lavoro improbo è nel tracciato di ogni scheda, che non trascura il clima nelle sue variazioni e che rimanda alle voci locali, spiegando gli usi che le popolazioni del sud d’Italia, e non soltanto loro, ne hanno fatto.
Gli usi e i costumi, le credenze popolari e i miti, ripresi dalle opere di autori latini e greci, conducono a percorsi fascinosi e al contempo istruttivi.











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