lunedì 23 settembre 2024


18/11/2014 09:34:43 - Manduria - Cultura

Il contenuto di una invocazione o breve preghiera in uso presso una nobile famiglia abruzzese coincide con i versi del poeta Michele, composti per celebrare la pia pratica tutta mandurina del digiuno dell’Immacolata

 Ho avuto occasione di leggere sul sito internet della nobile famiglia Tabassi (*), feudatari di Lama dei Peligni (e della relativa fraz. di Fonterossi) in terra di Abruzzo, di uno speciale digiuno a pane ed acqua che, secondo quanto scrive l’autore della nota, sarebbe stato stato osservato, nel suo ambito familiare, annualmente il 17 Agosto in onore della SS. Vergine Immacolata.
 L’autore riferisce che la pratica religiosa (in origine iniziata dalla famiglia dei Carosi, e poi proseguita dai Tabassi che, con i primi, hanno avuto legami matrimoniali) era stata fissata per tale data annuale perché assegnata per sorteggio, era stata assunta con carattere di obbligatorietà per tutti i componenti della famiglia, salvi i casi di malattia o altri impedimenti, e con l’ulteriore obbligo di confessarsi e comunicarsi sempre in quello stesso giorno.
 Per il caso in cui il 17 di agosto fosse stato di Domenica, la pia pratica doveva essere anticipata al precedente giorno di sabato e, quindi, al 16.
 L’autore, che sembra non conoscere la provenienza (geografica) di detta usanza familiare, riferisce altresì che il digiuno era destinato ad ottenere la protezione della SS. Vergine contro i fulmini, i terremoti ed altre avversità e che, nell’occasione, i componenti della famiglia erano soliti rivolgere all’Immacolata l’invocazione: “L’acqua che bevi nel venerar Maria, fa che il fuoco de’ tuoni estinto sia”.
 Trattasi, sorprendentemente, proprio di un distico a rima baciata del cd. poema del poeta Michele di cui ci parla lo storico mandurino Sac. Leonardo Tarentini , a proposito del digiuno dell’Immacolata, nel suo libro “Manduria Sacra” e che è dato leggere a pagina 221, della edizione del 1899 (Tipografia D’Errico), versi 9 e 10, nella seguente trascrizione dall’originale ivi riportata:
“L’acqua che bevi in venerar Maria
Fà ch’ il fuoco dei tuoni estinto sia”.
 Che dire?
 E’ fuor di dubbio che la devota invocazione, in uso presso la nobile casata abruzzese, coincida con i citati versi del poeta Michele -la cui versione originale, fedelmente riportata dal Tarentini, é contenuta nel cd. Librone Magno del digiuno, foglio 19, ed è leggibile nella riproduzione fotografica pubblicata a fianco (**)- essendo irrilevanti alcune minime differenze legate alle trascrizioni del testo (al primo verso in al posto di nel, nella versione del Tarentini e nell’originale, e nel secondo verso ch’ al posto di che e dei al posto di de’, sempre nella versione dello storico mandurino e nell’originale).
 A questo punto le domande che è lecito porsi sono la seguenti:
 Come mai il contenuto di una invocazione o breve preghiera in uso presso una nobile famiglia abruzzese, coincide con i versi del poeta Michele, composti per celebrare la pia pratica tutta mandurina del digiuno dell’Immacolata, digiuno che, com’è noto, studi storici accorsati attestano essere nato a Manduria (all’epoca denominata Casalnuovo) nella seconda metà del XVII° secolo?
   In qual modo questi versi sono divenuti il contenuto dell’invocazione anzidetta?
   Le risposte, alquanto agevoli, ci vengono fornite dalle conoscenze, ormai acquisite, in ordine alle modalità ed alle procedure seguite nell’assegnazione della data del digiuno.
   Alla richiesta di assegnazione (proveniente da singoli individui, gruppi familiari, comunità religiose, città, ecc.) pervenuta alla Confraternita dell’Immacolata di Casalnuovo, seguiva l’estrazione a sorte, da parte del Priore e degli altri organi della confraternita, della data annuale del digiuno (lo scopo della pratica religiosa era quello di assicurare che, durante l’intero corso dell’anno, vi fossero sempre dei fedeli ad osservare lo speciale digiuno a pane ed acqua), data che veniva così assegnata al richiedente, il quale riceveva una pagellina a stampa, la cd. Carta di Casalnuovo, riportante, impressi sotto l’immagine della Vergine Immacolata, la data stessa e un distico a rima baciata (contenente l’invocazione) tratto dal componimento del poeta Michele.
 Orbene, l’origine della invocazione tramandata nella famiglia abruzzese (e, aggiungeremmo, l’origine stessa del digiuno da essa praticato) dovrebbe risiedere proprio nel fatto che essa è pervenuta in quel contesto perché, si potrebbe dire, “ veicolata” dalla carta del digiuno o Carta di Casalnuovo di cui si è detto prima.
 Successivamente, smarritosi il documento, ne è stata dimenticata l’origine, ma la tradizione e l’invocazione sono state tramandate oralmente nell’ambito familiare per giungere fino ai giorni nostri con singolare precisione.
 La felice scoperta non sarebbe di poco conto, in quanto viene a confermare, con un riscontro, per così dire, “incrociato” tra il luogo di origine dei versi del poeta Michele (ossia Casalnuovo, oggi Manduria) ed uno dei tanti luoghi di arrivo (in questo caso, Fonterossi di Lama dei Peligni, in Abruzzo), la provenienza della pia pratica del digiuno a pane acqua.
 Tutto ciò dimostra, non solo la fondatezza degli studi riguardanti le modalità di circolazione del digiuno dell’Immacolata attraverso l’invio della cd. Carta in vari luoghi d’Italia (e perfino all’estero), ma anche l’ampiezza e la capillarità della sua diffusione. 
 
   Sempre dal citato sito apprendo che, a cura di un tale abate Donato Carosi, nell’anno 1709 fu costruita in detta frazione di Fonterossi una chiesa dedicata all’Immacolata Concezione e che, contestualmente, il predetto abate istituì, altresì, una pubblica festa in onore dell’Immacolata per l’otto di dicembre di ogni anno. La festa, riferisce l’autore aveva inizio nel palazzo di famiglia a Lama dei Peligni, con la partecipazione della banda musicale (ai cui componenti veniva anche offerto un rinfresco a base di dolci tipici), e proseguiva nella chiesa della frazione di Fonterossi, con la celebrazione della messa e la processione.
   La devozione familiare per la Vergine Immacolata, sarebbe stata poi arricchita dal Carosi con il digiuno a pane ed acqua di cui si è detto sopra, trasmesso successivamente alla famiglia Tabassi.
* * * * * *
 Ho provato a cercare nel Librone Magno della confraternita mandurina (nel quale, come noto, sono riportati i nomi degli iscritti al digiuno) eventuali iscrizioni a nome dei Carosi, indicati dall’autore quali iniziatori della pia pratica.
 Le ricerche, non essendo riportata nel manoscritto la cittadina di Lama dei Peligni, sono state eseguite per i centri abruzzesi di Chieti e di Sulmona (da cui la famiglia sembra provenire).
 Entrambe le località sono indicate nel Librone Magno, la prima nel foglio 774-fronte (secondo la numerazione di Michele Greco) originariamente 123, la seconda nel foglio 782-fronte, con numerazione originaria 124.
 Il nome della casata abruzzese non compare.
   Tuttavia, a partire dal foglio dedicato a Chieti (774-fronte nella nuova numerazione, già 123), inizia l’elenco dei nomi dei devoti dimoranti in Carosino (centro oggi in provincia di Taranto), elenco che occupa vari fogli, dal 775-fronte al 781-retro, secondo la nuova numerazione del Greco, e dal 124 al 130 secondo la vecchia numerazione. Stranamente, dopo l’elenco dei devoti di Carosino, i cui ultimi due fogli sono bianchi, sia nel fronte che nel retro (la sola località è indicata in alto, al centro), segue l’elenco dei devoti di Sulmona contenuto in un foglio la cui numerazione originaria (124) è incompatibile con quella del precedente (130), mentre lo sarebbe rispetto alla numerazione originaria del foglio dedicato alla prima città abruzzese (123), qualora seguisse quest’ultimo.
    L’incoerenza, come segnalato dai più attenti studiosi del manoscritto (cfr. Michelino Fistetto, “Se Concetta ho Maria” – editore Barbieri - Manduria), dovrebbe essere legata ad antichi, quanto maldestri, interventi di restauro che, spesso, avrebbero portato alla collazione, nell’attuale manoscritto, di fogli provenienti da almeno due manoscritti diversi. Ciò spiegherebbe le anomalie nella numerazione originaria delle pagine che, a volte, non è neppure progressiva.
   Non potrebbe darsi, allora, che, a causa delle parziali assonanze tra le parole Carosino e Carosi e della apparente continuità della numerazione, i fogli con l’elenco dei devoti dimoranti nel citato centro del Tarantino, siano stati cuciti ed inseriti per errore di seguito al foglio di Chieti e prima di quello di Sulmona, e che sia invece scomparso il foglio che conteneva, per Chieti, la trascrizione del nome della nobile famiglia abruzzese, nome che potrebbe essere stato letto come Carosino?
   L’ipotesi, senz’altro affascinante, richiederebbe studi più approfonditi.
   Manduria, 8 Dicembre 2014, Festa dell’Immacolata
 
Giuseppe Pio Capogrosso
 
 
 
(*) Le notizie relative al digiuno dell’Immacolata osservato nelle nobili famiglie Carosi e Tabassi sono pubblicate sul sito Internet: www.giovannitabassi.it.
 










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