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29/11/2014 07:35:46 - Manduria - Cultura

Il dipinto del Santo che si trova ad Uggiano si è rivelato essere del massimo interesse poichè rappresenta, con ogni probabilità, un’opera inedita del noto pittore manduriano Pietro Stano

Il 1 dicembre prossimo ricorre la memoria liturgica di un santo di grande popolarità nel Medioevo: si tratta di Sant’Eligio, vescovo di Noyon (Chaptelat, ca 588-Noyon, 1 Dicembre 660).
La sua vicenda storica è del tutto particolare. Di umili origini, Eligio, apprese a Limoges l’arte dell’oreficeria, diventando poi, per la sua abilità, orafo alla corte del re merovingio Clotario II. Ma fu apprezzato soprattutto per le sue capacità diplomatiche e per le sue opere di carità in favore di poveri, malati e prigionieri. Divenuto vescovo di Noyon, si dedicò soprattutto alla conversione dei pagani, ancora numerosi in epoca altomedievale, soprattutto nelle campagne.
E’ patrono degli orafi, dei maniscalchi, dei numismatici e dei veterinari; gli si attribuiscono numerosi miracoli. Piuttosto tardivamente, il culto di Sant’Eligio si radicò anche nel nostro territorio: a Manduria una cappella dedicata al santo fu eretta, secondo il Tarentini, intorno al 1530. Essa era ubicata fuori le mura medievali, ad Oriente, poco lontano dall’attuale rotatoria che conduce alla via per Lecce. Fu rifatta nel 1600, e, da ultimo, totalmente ricostruita nell’800. L’ultima versione è documentata da alcune fotografie degli anni ’60, scattate prima della demolizione.
La chiesolina era provvista di un dignitoso altare con relativo affresco del santo titolare, poi sostituito da una tela. Le foto documentano inoltre l’esistenza di una statua di Sant’Eligio, allogata nella cappella, probabilmente opera di maestri cartapestai salentini di primo ‘900. La chiesetta manduriana di Sant’Eligio era però importante, oltre che come testimonianza fisica del culto per il vescovo di Noyon, soprattutto perchè in essa ebbe sede, prima di trovare posto nella cappella omonima, la Confraternita dell’Immacolata. [cfr.L.Tarentini, Manduria Sacra (Manduria 1899) pp.150-154].
Nella iconografia sacra manduriana superstite, Sant’Eligio è rappresentato, comunque, appena un paio di volte, e precisamente in una tela del sec. XVIII collocata nella chiesa di Santa Maria di Costantinopoli, e in un’altra, coeva, collocata nel convento dei Cappuccini (annesso alla Chiesa di sant’Antonio).
Le due tele sono state realizzate da pittori di ambito meridionale, e raffigurano il santo, stante, in abiti vescovili, con ai lati un bue e un asino [CFr.M.Guastella, Iconografia Sacra a Manduria (Manduria 2002), p. 256 e 328]
Al santo si attribuisce infatti, tra gli altri, il miracolo di aver riattaccato la zampa ad un cavallo. Da subito, dunque, alcuni animali sono stati messi sotto la sua protezione.
Anche a livello locale è possibile riscontrare tracce della devozione: fino a tutti gli anni ’70, infatti, qualche manduriano, in occasione di una malattia del proprio asinello, soleva accendere nella vecchia cappella una lampada votiva al Santo. Se comunque, con la distruzione della chiesetta, a Manduria il culto per Sant’Eligio è scomparso, nella frazione di Uggiano Montefusco sono ancora apprezzabili le tracce materiali della devozione. All’estrema periferia sud della frazione, al termine di via Lunga, resiste ancora la piccola cappella di Sant’Eligio, la cui vicenda storica è stata ricostruita alcuni anni orsono [cfr. G.Becci, Il Centro storico di uggiano Montefusco (Manduria 1994), pp.52-63].
La chiesetta, voltata a botte, è di dimensioni modeste (mt. 4,9 X mt.3,25), ed è tuttora aperta al culto. Il vano, di incerta datazione, è orientato N-S, con prospetto a N. Dal momento che la cappella non ha il consueto orientamento liturgico E-W tipico delle chiese medievali, si potrebbe ipotizzare una sua edificazione in epoca moderna, ma può anche darsi che l’orientamento del vano sia stato stabilito in ragione dello sviluppo urbanistico della frazione, nonchè delle esigenze della piccola fiera degli animali che si teneva in Uggiano, nello spiazzo antistante la cappella, il 13 e 14 maggio. Allo stato attuale delle conoscenze, non è possibile datare con precisione la chiesetta, ne’ dare un nome al committente dell’impresa, ne’ tantomeno conoscere le motivazioni del radicamento del culto nella frazione, per mancanza di documentazione non anteriore al sec. XVIII. Gli unici elementi utili per una datazione potranno provenire solo da un eventuale scavo archeologico nell’area della cappella e, soprattutto, dallo studio delle pitture murali.
Da una visita pastorale effettuata nel 1784 , infatti, apprendiamo che nella cappella si potevano ammirare l’immagine di Sant’Eligio, di San Leonardo, di San Filippo Neri, nonchè quelle di San Gaetano Thiene e dei Santi Vito e Trifone. Le pitture sono probabilmente tutte al loro posto, anche se coperte da uno strato di intonaco, e se ne attende un ripristino, perchè la comunità possa tornare a fruirne. La presenza, nel ciclo decorativo, di santi “controriformati” (il cui culto, cioè, non è anteriore alla seconda metà del ‘500) ci farebbe propendere per una datazione “bassa” del vano (sec XVI-XVII), ma una fondata ipotesi di datazione si potrà fare solo in seguito al ripristino delle pitture.
L’immagine di Sant’Eligio, tuttora esistente, è collocata nella parete di fondo del vano, dipinta a tempera su lastra di rame, inserita in una piccola “macchina” processionale lignea di recente fattura, di colore verdino. Questa “macchina” si intuisce essere processionale per la presenza, nella parte bassa, di quattro infissi per l’inserimento delle stanghette, ma, in realtà, non sappiamo, per mancanza di documenti o di testimonianze orali, se una processione di Sant’Eligio si sia mai svolta per le vie della frazione, magari in concomitanza con la fiera che si teneva davanti alla cappella. E’ questo un aspetto che andrebbe approfondito.
Il dipinto del Santo si è rivelato essere del massimo interesse, poichè rappresenta, con ogni probabilità, un’opera inedita del noto pittore manduriano Pietro Stano, del quale ci siamo occupati su questa testata in un recente contributo [cfr.” Pietro Stano, un pittore dimenticato”, in “ManduriaOggi”, 30/08/2014]. Il piccolo dipinto, raffigurante il Santo con i consueti attributi iconografici, reca in basso a destra la sigla “P.S.” (e non , come è stato erroneamente letto, “R.S.”) e la scritta “S.Eligio 1907”. Non abbiamo rintracciato documentazione d’archivio su questo manufatto: la cappella di sant’Eligio era di patronato della Mensa vescovile oritana ed affidata alla cura dell’arcipresbitero curato del Castello di Uggiano, ma non è detto che in relazione al dipinto sia necessariamente rimasta traccia documentaria.
Gli unici elementi disponibili per una ipotesi di attribuzione restano dunque la firma del pittore (P.S.), la data (1907) , e naturalmente, lo stile dell’opera. Decisiva si rivela, chiaramente, l’analisi stilistica: non è difficile riconoscere nell’opera il linguaggio figurativo usato dal pittore manduriano Pietro Stano (P.S.), che operò a Manduria e in altri paesi dell’Alto Salento a cavallo tra i secc. XIX e XX, optando per una pittura di soggetto esclusivamente sacro.
Molteplici e stringenti sono le affinità tra il Sant’Eligio di Uggiano e gli altri soggetti sacri di sicura autografia del pittore, come l’Immacolata e il San Gregorio Magno della chiesa di San Pietro in Bevagna presso Manduria, o i Quattro Evangelisti della chiesa di Sant’Anna a Carovigno, tutti realizzati agli inizi del sec. XX. Nel sant’Eligio di Uggiano Montefusco ritroviamo tutte le caratteristiche della pittura di Pietro, ad iniziare dalla marcata intonazione devozionale del soggetto e dall’uso di un denso impasto cromatico. Nel dipinto ritroviamo inoltre altri elementi, non secondari, dello stile del pittore, come l’attenzione all’aspetto decorativo (si noti il trattamento della mitra, della spilla pettorale e del crocifisso del santo) e l’uso di uno sfondo neutro, privo di dettagli prospettici o naturalistici, che ha lo scopo di proiettare il soggetto rappresentato in una dimensione atemporale. Anche la data “1907”, collocata in calce al dipinto, giustifica ampiamente l’autografia del pittore, in considerazione dello sviluppo cronologico e formale della sua opera.
In conclusione, questa piccola tavoletta dipinta su rame va salvaguardata. Essa rappresenta, insieme al luogo che la custodisce, una delle ultime testimonianze visibili del culto che i nostri antenati hanno tributato ad una non secondaria figura del cristianesimo occidentale.
 
Nicola Morrone











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