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24/02/2015 18:34:16 - Manduria - Cultura

L’altare marmoreo ad intaglio ed intarsio collocato nella chiesa dei PP. Passionisti, voluto dalla famiglia dei Bozzi Corso Colonna

Il vasto patrimonio artistico manduriano può essere studiato secondo varie prospettive. E, per ricostruire il contesto storico in cui un dato bene culturale è stato prodotto, si può partire anche da alcuni dati minimi, come gli elementi araldici che, eventualmente, lo contrassegnano.
Come è noto, I fastigi degli altari delle chiese, o le sommità dei portali dei palazzi nobiliari, sono spesso provvisti di stemmi, che rimandano immediatamente alla relativa committenza. Nelle chiese, lo stemma gentilizio è di solito presente sull’altare che correda una cappella: esso è testimonianza tangibile del cosiddetto “diritto di patronato” (o “jus patronatus”), vale a dire dell’obbligo, da parte del clero, di celebrare un certo numero di messe a suffragio dell’anima del nobile che ha fatto edificare l’altare medesimo. In altri termini, il giuspatronato vincolava i nobili alla chiesa, e viceversa: i primi la corredavano di altari e cappelle, l’altra si obbligava a corrispondere preghiere in suffragio.
I nobili più facoltosi, tra l’altro, potevano legare il proprio nome a molteplici edifici religiosi di uno stesso paese: è il caso per esempio di Marianna Giannuzzi, nobildonna di origine francavillese che nel sec.XVIII volle lasciare traccia della sua munificenza facendo realizzare due tra gli altari più belli delle chiese manduriane, cioè quello dell’Immacolata in San Francesco d’Assisi e quello di San Gregorio Magno nella Chiesa Matrice. La nobildonna fece corredare gli stessi di quadri, statue, argenti, sostenendo spese non indifferenti. Lo storico, incrociando le indicazioni fornite dagli stemmi nobiliari con i dati rivenienti dai documenti (platee, atti notarili, ecc.) può agevolmente ricostruire una diacronia, cioè una seriazione cronologica dei giuspatronati di un preciso altare, verificando quante e quali famiglie vi sono state legate nel corso del tempo, e, nei casi più fortunati, chiarendo anche i motivi della edificazione dello stesso. Molti sono gli altari presenti nelle chiese di Manduria, e a più di uno era legato, in passato, un patronato:nessuno ne ha però mai tentato una ricostruzione storica puntuale.
In attesa che qualche volenteroso intraprenda tale studio, vogliamo in questa sede soffermarci brevemente sulla storia di un preciso altare nobiliare, che ci è parsa per più motivi singolare. Ci riferiamo al commesso marmoreo ad intaglio ed intarsio collocato nella chiesa dei PP. Passionisti, il primo della navata laterale destra a partire dall’ingresso. Si tratta di un altare marmoreo policromo piuttosto semplice, caratterizzato da un ridotto postergale ed un ampio paliotto rettilineo scompartito da paraste, che inquadrano una croce greca al centro e due stemmi gentilizi ai lati. All’estremo margine inferiore del paliotto, è collocata l’iscrizione “FRANCISCUS ET ISABELLA BOZZI CORSO COLONNA SELVAGGI EX VOTO MCMX” .
Detta iscrizione fa riferimento ad una vicenda umana che ci è parsa degna di approfondimento, anche perchè ebbe per protagonista una famiglia “forestiera”, cioè quella leccese dei Bozzi Corso Colonna, unitasi con quella manduriana dei Selvaggi. La famiglia Bozzi Corso Colonna, come indica il nome stesso, era originaria della Corsica [CFR.C. de Cesari Rocca, Armorial Corse (Paris 1892),p.14]. Un ramo di essa aveva poi avuto modo di trasferirsi nel Salento, per motivi a noi ancora ignoti, e vi si era radicata, facendovi costruire una sontuosa residenza. Gabriele Bozzi Corso, nel 1775, fece appunto edificare a Lecce il palazzo di famiglia, realizzato su disegno del celebre architetto Emanuele Manieri (parente del più noto Mauro, gloria dell’architettura salentina di età barocca). Il palazzo, collocato in via Umberto I, 38, ha un prospetto piuttosto sobrio, ma è valorizzato da uno scenografico atrio. Vari membri della famiglia Bozzi Corso compaiono anche negli atti dei notai del ‘700, conservati nell’Archivio di Stato di Lecce.Tra di essi, figurano dottori, abati, canonici, monache.
La famiglia, nel sec. XVIII, era tra le più eminenti del patriziato cittadino, a tal punto da procurare nel 1750 il membro “rettore” alla classe dei nobili. I Bozzi Corso erano proprietari di feudi in un po’ tutto il Salento: a Giuggianello, a Roccaforzata, a Monteparano, e naturalmente anche a Lecce. Essendo feudataria del piccolo borgo tarantino di Monteparano, la famiglia vi possedeva un sepolcro gentilizio nella Chiesa Matrice, di cui è ancora visibile una lastra. Lo stemma dei Bozzi Corso, intarsiato a marmi policromi, è visibile anche nei pressi dell’altare maggiore della stessa chiesa.
Ma la potente famiglia ebbe modo di legarsi anche alla nostra città. Nella seconda metà dell’800, infatti, un importante membro, il barone Francesco, era convolato a nozze con la nobildonna manduriana Isabella Selvaggi. Isabella, però aveva avuto la sventura di essere colpita da una malattia e, nella speranza di guarire, si era rivolta al beato passionista Francesco Possenti (1838-1862), canonizzato nel 1920 con il nome di San Gabriele dell’Addolorata. La grazia era stata concessa, e il barone Bozzi Corso aveva deciso di erigere l’altare nella Chiesa dei Passionisti, a perenne ricordo di quel fatto prodigioso. L’altare fu eretto in San Paolo della Croce, poichè il beato Possenti era, all’epoca dei fatti e post mortem, già una figura di assoluto rilievo nell’ambito dei Passionisti, ben prima di diventare santo. L’altare è corredato, non a caso, da una tela di E. Ballerini, datata 1935 e raffigurante il Crocifisso, l’Addolorata e San Gabriele dell’Addolorata in adorazione [Cfr. M.Guastella, Iconografia Sacra a Manduria, (Manduria 2002),p.347].
L’iniziativa dei Bozzi Corso Colonna Selvaggi è testimoniata, oltre che dall’iscrizione e dagli stemmi delle due famiglie presenti sull’altare, anche dal referto documentario fornito dalla “Platea del ritiro di Manduria (1866-1972)”, che riassume la storia della Casa Passionista manduriana, per ciò che concerne l’arco cronologico di riferimento. In essa, alla p.54, n.144, è scritto che l’altare fu inaugurato l’8 marzo 1910, con una solenne messa cantata dal Procuratore Generale padre Luigi Besi di S. Francesco di Paola, che tenne il discorso di circostanza. L’altare, costato lire 500, fu donato dal Barone Francesco Bozzi Corso, “e ciò per avergli ottenuta, sola grazia del beato, la guarigione da grave infermità per la signora Isabella Selvaggi, moglie del Barone”.
A giugno dello stesso anno l’altare fu fornito di candelieri e cartegloria a devozione della benefattrice donna Giuseppina Arno’. [Cfr.C.Turrisi, il culto a San Gabriele dell’Addolorata in Puglia e Calabria (2009), nota 126].
In conclusione, soffermandoci per un attimo ad osservare uno dei tanti stemmi collocati nelle chiese manduriane, ed incrociando i dati forniti dall’araldica con quelli rivenienti dalla consultazione della bibliografia relativa e dei documenti, siamo giunti a ricostruire le ragioni essenziali della presenza, nella chiesa dei Passionisti, di un altare “forestiero”, della relativa famiglia committente, e della vicenda umana ad essa sottesa. Abbiamo effettuato una operazione di indagine (micro)storica, che ci ha permesso di comprendere che, anche se condotta secondo una precisa prospettiva disciplinare (nella fattispecie storico-artistica) ogni ricerca storica, come sostiene Marc Bloch, ci riconduce sempre all’”uomo, o meglio agli uomini, e più precisamente agli uomini nel tempo”.
 
 
Nicola Morrone











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