lunedì 23 settembre 2024


31/03/2015 15:44:21 - Manduria - Cultura

Lo scalpellino Bagorda e la sua arte in villa

 
Uno dei luoghi più popolari della città di Manduria è senza dubbio la villa comunale che ne abbellisce il centro ed è dominata dall’arco che svetta sul monumento dedicato ai Caduti in guerra. Sono pochi ormai ad interrogarsi sulle origini di quello che è diventato ormai a tutti gli effetti il simbolo della città.
Ideato dall’architetto De Bellis, che si occupò tuttavia solo della realizzazione del modello tridimensionale, il progetto vede finalmente la luce grazie all’abilità del mastro scalpellino Camillo Bagorda (uno degli ultimi dell’intera regione). Nel corso della costruzione, lo scalpellino Bagorda fu aiutato dal giovane figlio Umberto, trasferitosi precedentemente a Manduria da Fasano per la realizzazione di un altro celebre edificio cittadino, la Chiesa di Sant’Antonio, avvenuta negli anni 1936-38. In quella occasione gli erano state affidate non solo le rifiniture interne, ma anche la manifattura esterna in Pietra di Carovigno e quindi del meraviglioso rosone, che imponente e fiero si staglia sulla facciata e dell’alto campanile. Il progetto di un monumento dedicato ai Caduti in guerra era stato fortemente voluto e patrocinato dall’associazione degli ex- combattenti, fra cui uno dei membri di spicco era Amerigo Mero, che si occupò anche della raccolta dei fondi.
La costruzione del monumento iniziò intorno agli anni 1955-56 e il materiale prescelto fu il carparo di Pulsano, prelevato direttamente dalla cava con carri e cavalli perché all’epoca i camion avevano un costo  elevato. La prima ad essere edificata fu la cripta della volta a croce di Malta sottostante il monumento, in cui si sarebbero dovute svolgere le cerimonie religiose.
In seguito si passò al “pezzo forte”, l’arco, ma il Bagorda, in comune accordo con il figlio Umberto, decise di sua iniziativa di modificare il progetto iniziale dell’arco, a suo dire troppo basso, anonimo e poco pronunciato, per renderlo più alto e tondeggiante. In linea dunque con l’audace fierezza dei soldati che quel monumento dovevano essere gli ispiratori e i protagonisti. L’esperimento, nonostante le iniziali perplessità dei suoi stessi realizzatori, riuscì perfettamente.
Tuttavia venne ben presto a crearsi un inconveniente. Le nuove dimensioni dell’arco rischiavano di mettere in ombra le statue in bronzo destinate ad essere poste sotto di esso e sempre dei Bagorda fu in conclusione, l’idea di posizionarle su un basamento sopraelevato che desse loro la giusta centralità nel complesso progettato. La realizzazione dell’opera richiese alcuni anni di lavoro perché ogni cosa era lavorata a mano, senza l’ausilio di speciali apparecchiature , e perciò il monumento fu inaugurato solo nel 1966.
E ora, che fine hanno fatto questi uomini? Beh, Umberto Bagorda non è altri che mio nonno, di cui sono giustamente fiero (e di conseguenza il mastro scalpellino è il mio bisnonno), mentre per ironia della sorte, Amerigo Mero diventò in seguito suo cognato, quindi il mio prozio.
 
Alessandro Doria

 

 

 

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