lunedì 23 settembre 2024


06/02/2010 13:32:48 - Manduria - Cultura

La mostra sui reduci manduriani visitabile sino al 10 febbraio

 
La sensibilità di una donna nel ritratto di una scrittrice, nel volto di una figlia: omaggio di una bambina al proprio padre eroe.....
Forse più di una semplice mostra e sicuramente più di una raccolta di vecchi cimeli raccolti andando in giro per mercatini non per appagare desideri repressi, che spesso spiegano lo shopping compulsivo di signore dabbene, che vedono nell’anticaglia a buon mercato l’antiquariato da annata da presentare su pianto d’argento alle amiche del tè. E, secondo me, non è un caso che, potendo scegliere in quale posto accogliermi, la scrittrice di Meminisse iuvabit abbia deciso proprio di parlarmi nella Chiesa di Santa Croce, nei pressi del convento di S. Antonio, tra le sue cose, in mezzo alle sue creature, che ha visto nascere e moltiplicarsi, affannosamente cercate, proprio all’indomani dell’inaugurazione della sua mostra, nel giorno in cui ricorreva il giorno della memoria.
In un inizio di serata della fine di un gennaio particolarmente freddo, si aprono le porte della chiesa neo restaurata, dove gli affreschi e le volte riportate alla luce, sono uno star gate possibile per determinare la fusione tra le memorie del passato che sono poi anche quelle da affidare al futuro.
Cercare di intessere un dialogo con Anna Rita Morleo, autrice del libro e curatrice della mostra, non è facile; arriva animata da tanta buona volontà con il suo carico di preziosi documenti rubricati in anni di ricerca che tiene gelosamente conservati, sottoposti alla mia attenzione di perfetto sconosciuto con fare di giustificabile diffidenza. E mentre siamo sul punto di parlare viene trattenuta dai visitatori, anch’essi forse giunti non a caso, con i quali si intrattiene avendo capito che sono stati spinti come per lei da uno stesso desiderio: vedere nei nomenclatura di 140 foto circa di perfetti sconosciuti o semi sconosciuti qualche volto amico che magari per un attimo annulli la distanza con un congiunto scomparso chissà dove, quando e come e, sepolto nello strazio di una terra insanguinata che non concede ai familiari il conforto di una lapide su cui piangere. Basta solo accontentarsi di contemplare e non semplicemente di vedere uno dei tanti volti incorniciati su cui sono state concentrate le poche notizie necessarie sui dati anagrafici, evidentemente meno importanti di quelle di stretta pertinenza militare che ci danno la gioia di sentire parte della nostra famiglia personale i concittadini che ci hanno preceduti, morti da eroi nel mondo negli anni ‘39, ‘46.
La osservo con attenzione! Viene trattenuta continuamente, suo malgrado, da una irrefrenabile voglia di raccontare a chi come lei vive la vita cercando cercando, un’altra dimensione alla guerra, tralasciando le seppur importanti ma ormai risapute notizie sugli avvenimenti storici abbondantemente documentati, per cedere all’impulso di dare un volto di umanità ed umanizzazione al conflitto che la tocca da vicino, essendo stato il padre prigioniero per tre anni in diversi campi americani.
Il suo è un continuo spiegare, accogliere per parlare, per trovare nuove testimonianze da fermare con quanti la possano aiutare a fagocitare vecchi bauli, album di foto ormai ingialliti e sciupati che racchiudono storie di uomini e di mondi di una pagina oscura della storia mondiale in cui tutto sembrava essere generato dalla follia.
Parlarle vuol dire fare i conti  e confrontarsi con un fiume in piena di ricordi, un flusso di coscienza inarrestabile di emozioni non censurate che tradiscono una sensibilità interiore capaci di spiegare meglio di ogni parola le tappe di un percorso introspettivo da cui emergono le tracce di un privato diventato improvvisamente pubblico e, condiviso con quegli stessi compagni di viaggio che sono le anime immolate per sempre nelle foto restituite alla riflessione collettiva.
Ella stessa è diventata parte delle sue foto e i volti impressi sono commilitoni che ne accompagnano quotidianamente l'esistenza di cui fruga nel senso migliore del termine, l’esistenza, facendo di un'esigenza personale, nata dal desiderio di conoscere quella parte del padre che le è stato sottratto nel periodo della prigionia, uno di più ampio respiro.
Osservandola mi chiedo cosa abbia di diverso o magari in più una mostra sul Secondo Conflitto, forse più scarna rispetto a tante altre disseminate ovunque e curate da chiunque. A quel punto me lo spiego: ci rivedo lei mentre appropriandosi del numero di matricola del padre, il 9699, battuto con le macchine da scrivere di allora, sotto una vecchia foto sempre di suo padre e comunque disposte entrambe sopra le impronte digitale prese il giorno dell’arresto inviatele dal Ministero della Difesa, sez. Prigionieri di Guerra a seguito di una sua richiesta, fotocopie custodite con l'avidità di chi ha in mano, non carte ma reliquie, tenta disperatamente di consumare quell’affetto carnale con il suo di padre, suo sottolineato, che la patria si è goduta indebitamente al posto suo, rubandolo a quell’amore immensamente  grande che ogni figlia nutre per il proprio papà.
Questo è la mostra di Annarita Morleo: un inno d’amore al padre e a tanti padri sconosciuti ancor prima di diventarlo magari, che come ogni giovane hanno sognato della proprie donne, della patria, degli affetti, sospesi in un'altra dimensione nei brevi momenti di svago o ufficiali di un rigore militare di altri tempi, in cui inorgogliva lottare per certi ideali senza risparmiare la vita messa in gioco con la morte, sorrisi appena accennati, lacrime da uomini rudi che rigavano il volto di spettatori di funerali solenni, nello sfondo di un torrido sole d’Egitto unico legame con la propria mediterraneità, o catturati in momenti di cameratismo spinto e dissacrante verso il  ruolo della stessa guerra che avrebbe concesso loro di conoscere posti e usare mezzi non altrimenti visitabili o utilizzabili.
La mostra rimarrà aperta sino al 10 febbraio per ricordare degnamente i reduci manduriani combattenti ed esposta al pubblico presso la Chiesa di Santa Croce dalle 9:30 alle 12.30 e dalle 15:30 alle 19:30. Sarà per la scrittrice per caso una preziosa occasione per continuare a raccogliere cercando, chiedendo l’aiuto di quanti la aiuteranno a dare un volto più umano alla guerra con notizie e documenti, fotografie, oggetti ecc..ecc...ecc..
Un sogno nel cassetto ? Perorare la causa di un giovane soldato del nostro comune, Cosimo Damiano Moccia che disguidi burocratici sconosciuti nelle loro dinamiche viene insignito della medaglia d’oro al valore per aver immolato la sua vita da vittima per non cedere al tradimento dei suoi compagni ed in seguito declassato, si fa per dire a
semplice medaglia d’argento.
«Non si tratta di dare un valore pecuniario al valore umano di questo soldato»- dice  Annarita Morleo, «ma di comprendere sino in fondo ed una volta per tutte, se esistono i presupposti per riconoscere un diritto o meno, con chiarezza per far sì che la memoria di un valoroso soldato non resti legata ad un qualche disguido capace di pesare come una macchia alla sua memoria per banali intoppi burocratici, almeno così sono stati definiti.
Adesso lo scrivente si concede un suo spazio, per una riflessione personale. Desidero ringraziare di cuore la signora Morleo per l’opera svolta che, a mio parere, la impegnerà per il resto della vita. Mi auguro che questo articolo, molto diverso da come lo avevo concepito, poiché più in linea con i contenuti  e l’alto significato della mostra e del libro, la rappresenti al meglio. Se poi sarò anche riuscito a definire come dovevo le linee di un animo sensibile, non condizionato dal rigore della divisa, sarò altrettanto felice, sperando di avere superato magari un esame, di aver conquistato un’amica, di aver dato voce ad una buona causa, nell’aver dimostrato che anche un giovane tirocinante giornalista ha cuore per parlare di cuore.

Mimmo Palummieri
 










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