domenica 22 settembre 2024


25/11/2021 08:22:05 - Manduria - Cultura

La sacralità compromessa del comparatico a causa di pensieri licenziosi e passionali è al centro di un antico canto manduriano che la signora Immacolata My ha riportato sotto forma di racconto

L’evoluzione storica dell’istituto del comparatico delineata nell’articolo di ieri ha mostrato i cambiamenti ideologici e anche giuridici che esso ha subito, arrivando in tempi recenti sensibilmente svuotato nei suoi aspetti più rigidi e contenendo la scelta dei padrini nell’ambito esclusivamente familiare e/o amicale.  

È un fatto però che, nonostante la Storia che tutto muta, l’elemento relativo al comparatico che più di altri è rimasto immutato nei secoli è quello dell’impedimento a relazioni e unioni matrimoniali tra gli appartenenti ad una parentela spirituale. Esso, dopo aver trovato sanzione giuridica per la prima volta nel Codice di Diritto Civile di Giustiniano del 530, era ancora presente nel Codex Iuris Canonici del 1917 ed è infine stato abrogato con la promulgazione del Codex Iuris Canonici del 25 gennaio 1983 da parte di papa Giovanni Paolo II.

Di questo impedimento vi è traccia in diverse fonti ecclesiastiche e letterarie. Una fra tutte, Papa Gregorio I (590-604) riporta nei ‘Dialoghi’ una vicenda accaduta a Siracusa, dove in seguito ai festeggiamenti per l’avvenuto battesimo, il padrino abusa della figlioccia; egli muore poco dopo tra indicibili sofferenze morali ma la punizione si completa con il suo corpo bruciato completamente nella tomba.

Dal I al XX secolo è un attimo: una sentenza del 13 dicembre 1950 della Corte d’Appello di Catanzaro, pone fine a una triste vicenda giudiziaria relativa all’omicidio di Tommaso Pino ad opera di Francesco e Fiore Cicero, padre e figlio, legati al primo da parentela spirituale. La vittima, violando la sacralità del comparatico, abusa della figlioccia, la quale scoprendosi incinta e messa alle strette confessa l’accaduto. L’impossibilità del matrimonio riparatore, essendo il compare già sposato, lascia spazio ad un’unica drammatica soluzione: l’omicidio. Durante il dibattimento entrambi le parti invocano l’omicidio per causa d’onore (art. 587 c.p. abrogato nel 1981), impossibile da accogliere per il lungo tempo intercorso fra il reato commesso e la reazione violenta ad esso seguita. 

Proprio la sacralità compromessa del comparatico a causa di pensieri licenziosi e passionali è al centro di un antico canto manduriano che la signora Immacolata My ha riportato sotto forma di racconto, in cui alla scellerata protagonista la giustizia divina riserva la punizione esemplare dell’inferno per aver ‘ingannato’ San Giovanni. Gli ‘fauzi inganni’ di cui parla la fonte si riferiscono ad un modo di dire che dalla Firenze medioevale si è esteso progressivamente a tutte le regioni d’Italia, con diverse sfumature di significato: “San Giovanni non vuole inganni”. Originariamente il detto era riferito al fiorino, moneta fiorentina raffigurante da una parte il giglio, dall’altra l’immagine di San Giovanni Battista, garanzia di autenticità della moneta, pena le sue pesanti punizioni. 

Una donna incinta chiede il ‘Sangiovanni’ ad un uomo, il quale naturalmente accetta (perché il San Giovanni non si rifiuta mai) chiedendo di essere avvisato alla nascita del bambino. In realtà, la donna lo invita a casa molto prima, per sedurlo però, confessandogli di avergli chiesto il comparatico come pretesto per attirarlo a sé e passarci una notte insieme, data l’assenza del marito. L’uomo, proprio appellandosi al vincolo di San Giovanni, rifiuta ogni approccio fisico. Al ritorno del marito, la donna accusa il compare di averla molestata, pertanto questi medita una vendetta, aspettando la visita che il compare, ignaro di tutto, andrà a fare per vedere il bambino. Così, quando l’uomo è ancora sull’uscio, San Giovanni ferma la furia vendicatrice del marito, rivelandogli la verità. Anche il bambino di soli tre giorni, prodigiosamente, usa parole di accusa verso la madre, salvando così la vita al padrino.

Di seguito la trascrizione del racconto, disponibile nel file audio dalla diretta voce della signora Immacolata.

Ci ulìtisintìti li fauzi inganni / ti piccoli zitelli tutti quanti / ca nc’erannacummari ti San Giuànni / gravida scìa ti nnupargolettu. / Ti nanti si luccontrannugiovanettu / tici: «Cumpari, cce mi faci lu San Giuànni?» / Iddu si ota cu molt’affanni: / «Cummari, no si nega lu San Giuànni». / Timmi, cumpari mia, quannu ti spettu? / Spettimiquannuaištilusušcettu. / Li ottu no feci e si lumannou a chiamari / «Cce ai cummarišta chiamata preštu / tantupreštu è natulusušcettu?» «No, cumpari questa è nnaccusa ca aggiutruata / ca lumaritu è sciutu fori terra / pijti la seggia e ssettiti nu pocu». Mo ai a lla cassa / e comincia a cacciari / cupeta e cosi dolci per mangiari / «Cummari – tissi – no ssacciu ti cce modo t’aggiaringraziari / mo ci ma confusutantu». «Eh, ulìajaštemulufusu e la cunocchia / purunna notti cu tei mi ulìacurcari». «Cummari, šta cosa no la putìmu fari / ca nc’èlu San Giuànnipi li mienzi; / stasera viene il tuo marito / e ti ccuntenta di ogni modu fari». «Ccenn’aggia fari ti lu mio maritu / ca è vecchiu e tuttusannisciatu / a me nciulìannu giovini zitu / bellucomu a tei, bellu e ngarbatu». «Cilestri cielu ci la štasintìti / pitištimoniancimentu li Santi / ci la toccucu mmueruddannatu / ci no cu rraggiu e bbou a Santu Vitu». / E se n’è andato. / La sera è venuto il suo marito / tutto diverso li vozzicuntari: / «no ssaimaritu mia cce m’a ccappatu? / ca m’onnu fatta donna ti partitu». Edda la bocca a risa li facìa: / «forse è štatolunoštrucumpari?». La sera retu a lla porta luvozzi ‘mpuštari / mancu se fossi nu frati ‘ncarnatu. / Mo ai lucumparinettu e šchiettu / ai pivisitarilusušcettu. / Quannuarriou a llulimmitari / tuttu ti fuoco si veddibruciari. / Mo risponni San Giuànni ti lulimmitari / e dissi: «Spetta spetta cani traditori / te l’è saputa beni riguardari / e t’è ddatu la štimi e l’onore / ca mo viene una schiera ti diavoli / e bi ni porta a tutti anima e cuerpu /». Mo risponnilupiccinnu ti tre giurninatu: «Ani, ani mamma ddo s’è cundannata». / «Oh Diu pinnabuscìa ca aggiamiscata / mi trovu all’infernu e tottancatinata».    

Per le informazioni giuridiche, Salvatore Puliatti, ‘Matrimoni e vincoli da parentela spirituale in età tardoantica’, in ‘Diritto@Storia, n. 13- 2016. In foto, ‘San Giovanni Battista giovane’ Andrea del Sarto. Le opere menzionate sono disponibili in biblioteca. Per la vicenda giudiziaria di Catanzaro, http://www.antichidelitti.it/2020/03/06/compare-non-lo-dovevate-fare/.

Approfondimenti sul canto dialettale sono contenuti in un articolo dello studioso manduriano Giuseppe Pio Capogrosso al seguente link  http://www.nuovomonitorenapoletano.it/index.php?option=com_content&view=article&id=2571:un-antico-canto-popolare-per-s-giovanni&catid=72&Itemid=108.

 











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