lunedì 23 settembre 2024


05/07/2023 18:44:19 - Manduria - Attualità

«Sono certo che anche da lassù continuerai a seguirmi ovunque. Spero che tu sia contento di me »

«Eccomi qui papà…

sapevo che prima o poi sarebbe arrivato questo momento, ma non si è mai pronti a questo dolore così profondo.

Quando hai scoperto la malattia io avevo appena 17 anni. All’epoca non c’era la tecnologia dei telefonini di ora e quindi non sapevo nemmeno che tipo di malattia fosse la SLA. Dopo qualche mese tu iniziasti a peggiorare: camminavi con il carrellino. Io avevo tanta paura: infatti spesso cadevi e ogni volta vederti a terra per me era un brutto colpo. Successivamente ogni giorno andavi a Ceglie Messapica a fare riabilitazione. Tu li ti sentivi a tuo agio. Mi parlavi sempre di una fisioterapista che ti diceva.: “So io quando ti faccio male”. Tu imprecavi ma poi capivi che quella fisioterapia ti aiutava tanto a sentirti meglio.

Nel frattempo la “bastarda” iniziava ad invadere sempre di più il tuo corpo. Quando mangiavi spesso capitava di affogarti e la notte non riuscivi più a stare disteso: infatti preferivi restare sempre sulla tua poltrona.  Un giorno la mamma decise che era arrivata l’ora di fare la peg: tu non riuscivi più nemmeno a bere e giorno dopo giorno, oltre a dimagrire, ti disidratavi sempre di più.

Quindi andammo in ospedale e, da una semplice operazione, si trasformò in una cosa più complicata. Purtroppo avevi una polmonite in atto e l’unica soluzione per poter ritornare a respirare era quella di fare la tacheo. Così ti portarono a Taranto. Ricordo quando venivo a trovarti. Un giorno mi dicesti: ”Vai via”. Per me quelle parole, nonostante tutto, furono strazianti. Non riuscivo a togliermele dalla testa e mi tormentavo perchè non riuscivo a capire dove avevo sbagliato. Dopo ho capìto che era solo perchè non volevi che io ti vedessi in quelle condizioni.

Dopo un mese di ospedale tornammo a casa. Da allora iniziai a focalizzare che la malattia era qualcosa di grave. Erano passati 3 anni dalla diagnosi e tu eri già attaccato al ventilatore. Quindi, informandomi, non ricordo chi mi disse che “l’aspettativa di vita si aggirano intorno ai 5 anni”.

Tutti sapevano e conoscono il nostro legame. Quelle parole furono una vera pugnalata. Da allora capì che l’unica cosa da fare era quella di viverti il più possibile.

Andavo a lavorare ma appena finivo l’unica cosa che volevo era quella di tornare a casa per stare con te.

Ogni volta che qualcuno mi proponeva di andare a prendere qualcosa al bar, trovavo sempre la scusa che non potevo uscire: preferivo trascurare tutti per restare quanto più tempo possibile con te.  Ci vedevamo i video insieme o magari le tante cazzate che facevo. Tu non mi hai mai detto mezza parola, anzi mi hai sempre guardato sorridendomi perchè sapevi che anche tu, all’età mia, ne combinavi anche di peggio.

Tramite il computer spesso mi scrivevi. Parlavamo in continuazione. Alcune volte anche tu ne combinavi delle grosse. Quando tornavo a casa ero l’unico che riuscivo leggermente a tenerti testa. Mi arrabbiavo, ti toglievo il computer, ma dopo mezz’ora massimo mi sentivo male con me stesso e venivo a rimettertelo.

La malattia era più o meno stazionaria. Infatti spesso andavamo alle partite. Uscivi in giro con la mamma, l’estate andavamo al mare: non potrò mai dimenticare quell’estate che feci fare delle sbarre da mettere sotto la sedia per poter salire le rampe delle scale.

Con Giancarlo ti portavamo tipo una statua. Il rischio era tanto, il peso era notevole, le scale erano strette, ma tu ti fidavi ciecamente di noi e ogni volta che salivamo o scendevamo ci guardavi ridendo, perchè per te era un divertimento.

Nel frattempo gli anni passavano, la malattia andava avanti, ma tu eri sempre li con noi. Comunicavamo con il pc, che ti permetteva anche di comunicare con il mondo intero. Eri fissato con le sciarpe, magliette e gadget delle squadre di calcio. Spesso a casa arrivavano pacchi di cose che ti spedivano e che aggiungevi alla tua collezione.

Quei 5 anni di vita nel frattempo erano diventati più di 10 e tu continuavi a lottare come un leone. Io purtroppo invece ero in un momento della mia vita non tanto felice: avevo fallito anche sull’unica cosa che pensavo andasse bene nella mia vita e in più non mi sentivo realizzato a livello lavorativo. Avevo bisogno di stravolgere qualcosa. Nella testa avevo tanti pensieri, ma con tanta paura di sbagliare. L’idea principale poteva cambiarmi ma ciò voleva dire allontanarmi da te. Un giorno venni in camera e ti iniziai a spiegare il tutto. Tu ascoltasti ogni mia parola e alla fine di tutto mi dicesti: ”aspettavo questa tua svolta”, non riuscì a trattenere l’emozione e mi buttai ad abbracciarti. So che sarebbe stata dura ma non potevo aspettarmi parole migliori per intraprendere la mia nuova strada.

Così, dopo aver passato il concorso, il 30 ottobre del 2021, con la macchina carica di valigie, sono partito da solo verso questa nuova avventura. Il distacco è stato molto duro, ma dovevo farlo per me e per il mio futuro.  Per fortuna ancora qualcosina riuscivi a scriverla al computer ed ogni tanto parlavamo (vorrei rileggermi tutte le nostre conversazioni ma ancora non riesco a farlo). A gennaio però mi mandasti un messaggio, forse l’ultimo perchè da li non sei più riuscito a scrivere: “tranquillo che non cedo, voglio vederti con la laurea da infermiere”. Questa era la nostra promessa. Promessa che purtroppo qualche giorno fa è svanita, ed io non riesco a farmene una ragione. Nella vita non sono riuscito a darti niente di tutto ciò che un padre desidera: farti vivere l’emozione del matrimonio di un figlio, di darti un nipotino/a. Speravo almeno di riuscire a farmi vedere davanti ai tuoi occhi con quella corona d’alloro, ma niente. Non ci sono riuscito nemmeno in questo. So perfettamente che tu hai cercato di lottare il più possibile, ma purtroppo, non so chi, ha voluto questo crudele destino. Sono certo però che sarai la mia ombra.

Sin da piccolo hai sempre saputo tutto di me. Alla mamma più di qualcosa la nascondevo, ma a papà no. In tanti dicono che ora starai meglio: io spero solo che tu possa ritornare a fare tutto ciò che in questi anni non hai potuto fare. Ma chi glielo spiega che io quando torno a casa non ho più quel papà a cui raccontargli le cose? Mi hai sempre insegnato a vedere chi sta meglio di me ed è per questo che, anche se so che ci sono molte persone che hanno avuto perdite anche molto più giovani, non riesco ad accettare tutto questo…

Voglio immaginarti libero, sempre indaffarato da una parte all’altra, di corsa con la macchina, a progettare e costruire case con il nonno e con lo zio Tommaso. Nello stesso tempo tra una cosa e l’altra, guidaci da lassù verso una vita migliore. Aiutaci nei momenti più difficili e dacci sempre la forza di lottare ed andare avanti ogni giorno.

Se oggi sono quel che sono è grazie a te e mamma, per questo non finirò mai di ringraziarvi per l’insegnamento che mi avete dato.

Ho voluto mettere questa foto perchè sono per certo che quel giorno eri felicissimo: eravamo soli io e te ed io ti dissi: ”papà andiamo a fare un giro a mare?”. Tu, senza nemmeno aspettare che finissi di dirtelo, mi dicesti di si, Non fu una passeggiata fare tutto da solo, ma sia io che tu eravamo contentissimi perchè insieme saremmo potuti arrivare ovunque. Voglio immaginarci sempre così, con quello spirito, con quella consapevolezza che nessuno ostacolo ci avrebbe mai potuto fermare. Sono certo che anche da lassù continuerai a seguirmi ovunque. Spero che tu sia contento di me.

GRAZIE di tutto, non avrei potuto desiderare papà migliore di te. Sei stato e sarai sempre il mio guerriero-

Raggiungimi nei sogni, quando vuoi fammi sentire la tua presenza e non lasciarmi mai da solo. Ciao Papà.

A nome mio e di tutta la mia famiglia volevo ringraziare tutti coloro che sono stati presenti in questi 14 anni di malattia e tutti coloro che sono stati vicini a noi anche con un semplice messaggio in questi giorni tristi,

Grazie di cuore».

 

Vincenzo Pizzi











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