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23/06/2010 08:06:14 - Manduria - Cultura

Ha partecipato col racconto “A Sud del Sahara”, che pubblichiamo

PREMIO RACCONTI NELLA RETE 2010
La giuria tecnica della IX edizione del premio letterario “Racconti nella Rete” ha selezionato i venticinque racconti che saranno inseriti nella nuova antologia del Premio edita da Nottetempo. Complimenti ai vincitori e un sincero ringraziamento a tutti gli autori che hanno partecipato a questa edizione, contribuendo con la qualità delle loro opere a far crescere ulteriormente il nostro concorso.
I vincitori saranno premiati a Lucca in occasione della XVI edizione di LuccAutori in programma dal 14 al 17 ottobre. Nell’occasione sarà presentata in anteprima la nuova antologia contenente i racconti selezionati.
Fra questi un solo pugliese: è il giovane manduriano Claudio Cagnazzo, 29enne di Manduria, studente alla facoltà di Medicina e Chirurgia presso l’Università degli studi di Bari “Aldo Moro”. E’ stato infatti scelto, fra i 25 vincitori, il suo racconto “A sud del Sahara”, che sarà poi pubblicato in un’antologia edita da Nottetempo.
I VENTICINQUE RACCONTI VINCITORI (autori in ordine alfabetico)
Bruna Baldini “Scherzo di fata” (sez. racconti per bambini) - Capannori LU
Paola Bellei “Giulio e Laura” - Latina
Francesca Branca “Il mio primo giorno di scuola” - Rogliano CS
Claudio Cagnazzo “A sud del Sahara” Manduria TA
Stefano Maria Capocelli e Lucilla Nele “Duecentonovantaduemila e 1″ - Napoli
Massimo Cerina “Luljeta” (sez. racconti per bambini) - Latina
Daniela Coialbu “In viaggio” - Roma
Francesco Conte “La cotica” - Roma
Rosanna Figna “Zelda” - Parma
Stefano Finzi Vita “I letti di Anna” - Roma
Emanuela Fontana “Il mimo” - Roma
Roberta Gramatica ” A una certa età” - Verbania
Stefano Lodi “Il mare si è fermato” - Modena
Maria Luigia Longo “Salvami Giacomino” - Lecco
Francesca Giulia Marone “Le nozze in volo” - Napoli
Donatella Mecucci “Dalle 5 alle 8″ - Roma
Paola Meardi “Potrebbe nevicare domani” - Milano
Stefano Mola “L’imbianchino dei cavoli” (sez. racconti per bambini) - Sangano TO
Sara Piazza “Charles e Maria” - Milano
Elena Rapisardi “Chaiselongue” - San Clemente RN
Tiziana Sala - “Una domenica al mare” - Milano
Rosanna Scimia “La casa dai fiori d’arancio” - Roma
Elena Sironi “L’alternativa” - Agrate Brianze MB
Carmina Trillino “Limbo” - Formia
Francesca Zucca “Actress in progress” – Milano
 
Racconti nella Rete 2010 “A sud del Sahara” di Claudio Cagnazzo
 
La zappa di legno scalfiva appena il suolo senza dissodarlo, l’unico effetto che produceva era quello di farmi scendere dalla fronte una pioggia di sudore. Stringevo i denti e continuavo a colpire il terreno con tutta la forza che avevo. Naturalmente una donna a sedici anni non può avere la forza di un uomo, ma coltivare la terra era un mio compito perché mio padre si occupava dell’allevamento del bestiame e mia madre di tutto il resto. La terra era molto arida e il grande cerchio del sole batteva ancora forte sulla mia pelle nera.  
Dopo il tramonto tornai a casa dove trovai i miei genitori in ansia di darmi la notizia. Avevano scelto il marito per me, ovviamente io non avevo possibilità di scegliere e dovevo quindi sposarlo per forza.
L’uomo che sarebbe diventato presto mio marito era il figlio di amici di famiglia. Praticamente lo conoscevo fin da quando ero bambina. Si chiamava Asad, aveva ventidue anni ed era molto carino ed educato. Non ero innamorata di lui, ma forse col tempo lo sarei diventata. Tutto sommato ero fortunata perché mi sarebbe potuto capitare di peggio, come era accaduto a mia sorella che era stata costretta a sposare un uomo brutto e severo.
Prima di sposarci avevo avuto la possibilità di stare insieme al mio futuro marito solo nelle poche occasioni in cui le nostre famiglie si sono incontrate per cenare insieme o festeggiare qualcosa. Il nostro matrimonio rappresentava l’unione di due famiglie amiche da anni e nonostante la mia giovane età mio padre non ci pensò due volte a concedermi in sposa. Erano tutti entusiasti di questa unione che avrebbe rafforzato un’amicizia che durava da quasi mezzo secolo.
Dopo il matrimonio cominciai veramente a conoscere mio marito. Era più buono e più dolce di quanto avessi potuto mai immaginare, cominciavo a trovarmi bene con lui ed ero molto felice. Ben presto iniziai ad amarlo e la nostra famiglia diventò sempre più grande con la nascita di una bambina prima e un maschietto dopo. Lui era anche un padre molto affettuoso e non mancava mai di delicatezze nei miei confronti. Ero molto orgogliosa della famiglia che avevo creato con quell’uomo meraviglioso e mi ritenevo veramente fortunata.
Purtroppo dopo quegli anni passati felici e spensierati, cominciarono i problemi. Le nostre famiglie per motivi banali iniziarono a litigare tra loro; la situazione diventò man mano più grave e insostenibile, finché si arrivò alla conclusione che ci obbligarono a separarci. All’inizio abbiamo tentato in tutti i modi di evitare che ciò accadesse, ma alla fine fummo costretti a farlo.
Questo fu forse il periodo più buio di tutta la mia vita. Non riuscivano più a darmi il sorriso e la gioia di vivere nemmeno il nostro grande sole africano o il profumo dell’ebano. Ero arrabbiata con i miei genitori che mi avevano fatto questo, ero arrabbiata con me stessa perché non avevo avuto la forza di oppormi, ero arrabbiata con le leggi e le tradizioni arcaiche che questo Paese ancora non voleva abbandonare.
La notte sognavo di vivere in Europa o in America dove potevo essere finalmente libera, decidere della mia vita, fare le mie scelte magari sbagliando, ma essere davvero libera come una farfalla, volare sul mondo e decidere io su quale fiore posarmi o continuare a volare, ma poi mi svegliavo e mi ritrovavo sempre qui a Sud del Sahara.
Appena ci lasciammo fui costretta a tornare a vivere con i miei genitori. Ormai il rapporto con loro non sarebbe mai potuto più tornare quello di prima perché il mio cuore nutriva sempre rancore verso coloro che avevano rovinato il mio matrimonio e allontanato i bambini dal loro padre. Mi limitavo giusto a salutarli, a dare il buongiorno e il buonasera, ma ormai ero diventata fredda nei loro confronti, ero una persona di ghiaccio; loro lo notavano e soffrivano per questo perché erano consapevoli di avere rovinato la mia vita, ma lo sdegno e il rancore verso gli amici diventati nemici contava di più rispetto alla mia felicità.
Col passare del tempo mi ero quasi rassegnata al mio destino e adesso vivevo solo e unicamente per i miei bambini. Non uscivo più di casa, ma mi occupavo solo di tutte quelle che erano le faccende domestiche.
Un giorno, ero sola in casa e bussò alla porta un anziano amico di mio padre. Lo feci accomodare offrendoli qualcosa da bere; notai che usava un linguaggio diverso dal solito e cominciò a farmi delle proposte poco pulite. Io mi rivolsi in maniera molto stupita e seccata nei suoi confronti, per fargli capire che non avevo nessunissima intenzione di avere alcun tipo di rapporto con lui. Al mio comportamento lui reagì in maniera molto brusca e minacciandomi con un coltello mi violentò.
Fino a quel momento credevo che mai avrei potuto subire un dolore più atroce di quello della separazione, ma mi sbagliavo perché quello che successe quella mattina mi sconvolse ancora di più. Ormai la tristezza e la malinconia si erano impossessate di me e sarebbero rimaste mie amiche per sempre.
Intanto dentro di me nasceva il figlio di quella violenza.
Dopo il parto andai a denunciare tutto alla polizia chiedendo giustizia e il sostentamento per il bimbo.
Quel giorno venni arrestata per adulterio, il bambino era la prova.
Ormai il mio destino era segnato; pregare non sarebbe più servito a niente, i miei figli sarebbero rimasti soli e questo non me lo sarei mai perdonato.. Odiavo questo luogo, la sua terra, le sue leggi ingiuste. Adesso non sarebbe servito neppure più sognare di essere una farfalla che vola libera.
Una mattina mi legarono i polsi e mi portarono per strada. Appena fuori il villaggio vidi la buca che era stata scavata per me. Venni piantata dentro come se fossi stata un albero, in piedi. Dal terreno sporgevo dalle spalle in su. Le mani erano piantate anch’esse in modo da non potermi proteggere.
Continuavo a non capire perché dovevo morire per essere stata violentata mentre l’uomo che lo aveva fatto era libero.
Guardai gli abitanti del mio villaggio scegliere le pietre più grosse e aguzze da scagliare, poi chiusi gli occhi.










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