… Vide subito Claudia, che non si accorse della sua presenza. Era rimasta bella e sensuale, proprio come quando l’aveva salutata prima della partenza per il fronte…
Dopo giorni di degenza, Alfredo guarì. Sebbene l’inverno tardasse a cedere il passo alla primavera, finalmente la neve si sciolse. Giunse il giorno del ritorno. Con un misero bagaglio da reduce, Alfredo portava con sé orribili ricordi di guerra e il dolce ricordo di Marta, che non avrebbe mai dimenticato. Il treno, carico di reduci, avanzava lungo le rotaie. Uomini dai volti segnati attendevano con ansia l’arrivo a destinazione. Quando il convoglio giunse al capolinea, Alfredo scese in una grande stazione affollata di passeggeri, accompagnato dal lento movimento dei treni e dal vociare sovrastato dagli annunci delle partenze e degli arrivi, mentre reparti militari vigilavano sui binari o attendevano un treno.
Alfredo consultò il tabellone degli orari; il suo viaggio non era ancora concluso. Nella seconda riga dell’elenco individuò il treno che sarebbe partito a breve. Salì a bordo qualche minuto dopo, desideroso di giungere a destinazione. L’estenuante tragitto terminò dopo ore interminabili. Alfredo era stanco, assonnato, ancora segnato dagli orrori della guerra, ma dentro di sé sapeva che non avrebbe mai più fatto ritorno al fronte, e questo pensiero lo rincuorava. Gradualmente, il desiderio di riabbracciare Claudia e l’emozione dell’incontro riempivano il suo animo. Claudia, fiduciosa, attendeva il ritorno del suo uomo, speranzosa di rivederlo vivo.
Alfredo non perse tempo e si diresse verso la casa della donna. Quel giorno di fine inverno, l’aria era fresca, e il sole faceva capolino tra i cirri sparsi nel cielo. Il cinguettio degli uccelli, il biascicare delle mucche al pascolo e il tintinnio dei campanacci appesi ai loro colli rompevano il silenzio di quel mite mattino. Respirando profondamente quell’aria familiare, Alfredo osservava il paesaggio circostante: le colline verdi si alternavano alle valli in un panorama che, per quanto semplice, gli era mancato profondamente. Tante volte, immerso nei ricordi nostalgici, aveva percorso quella stessa strada in bicicletta, alternando tratti pavimentati in pietra a sentieri polverosi e dissestati.
Dopo aver camminato per un paio d’ore lungo il sentiero fiancheggiato da alberi imponenti, prati, piccole abitazioni e recinzioni in pietra che delimitavano giardini e poderi, Alfredo finalmente intravide l’abitazione di Claudia. La cascina, costruita su un lieve pendio e in posizione soleggiata, dominava la valle. Davanti si stendeva un’aia di media grandezza, circondata da un orto e un campo coltivato a grano. Nella legnaia, i tronchi erano ben ordinati; al centro dell’aia, un vecchio aratro in disuso fungeva da posatoio per una gallina. Una staccionata delimitava l’intero podere. Poco lontano dalla cascina, i genitori di Claudia erano curvi sui campi, intenti a raccogliere ortaggi, mentre due mucche, staccatesi dal resto della mandria, pascolavano; un cane di piccola taglia sonnecchiava disteso sull’erba illuminata dal sole. Accanto al casolare si intravedeva il fienile, colmo di foraggio, e sul retro, in una piccola stalla, si scorgevano sagome di animali in movimento. Dei panni stesi al sole ondeggiavano, celando parzialmente la casa, davanti alla quale, in un giardino curato, sbocciavano fiori appena nati.
Alfredo affrettò il passo, impaziente di rivedere la sua amata. Percorse velocemente un vialetto che terminava nel cortile davanti all’abitazione. Arrivato di fronte alla casa, si avvicinò a una finestra, vi incollò il viso e guardò all'interno. Vide subito Claudia, che non si accorse della sua presenza. Era rimasta bella e sensuale, proprio come quando l’aveva salutata prima della partenza per il fronte. Seduta accanto al camino acceso, Claudia era intenta a ricamare parte del corredo per la sua dote. I lunghi capelli biondi le scendevano sulle spalle scoperte, mentre le mani delicate e affusolate si muovevano con grazia, le stesse mani che sapevano suscitare in Alfredo dolci emozioni. Il suo volto luminoso e ingenuo la rendeva incantevole e irresistibile. Indossava una camicetta bianca attillata che metteva in risalto le forme, e un grembiule rosso le scendeva sulle gambe, lasciando intravedere le cosce ben tornite.
Alfredo osservò per qualche istante quella donna amata e poi si diresse verso la porta, pronto a bussare. Ma, improvvisamente, il ricordo dei giorni di sofferenza riaffiorò con forza nella sua mente. No, non poteva entrare in quella casa, si disse, sconfortato. Si allontanò lentamente, con una nuova serenità nel cuore. Senza voltarsi indietro, fece ritorno alla stazione e prese un treno verso un monastero isolato, arroccato su un monte lontano. Sentiva che lì avrebbe trovato la pace che cercava da tempo. Il giorno in cui arrivò, indossò il saio e prese il nome di Don Celeste. Da quel momento, fu un uomo rinnovato, dedicato alla preghiera e al ricordo di coloro che, come lui, avevano vissuto gli orrori della guerra.
Walter Pasanisi