domenica 15 dicembre 2024


13/12/2024 09:27:20 - Manduria - Cultura

«Padre, mi avete convocato e sono qui per ascoltarvi», disse il principe con deferenza.
«Sì, volevo parlarti, figlio mio, di una questione importante. Io sono ormai molto vecchio e non mi resta molto da vivere; pertanto, è giunto il momento di rivelarti un segreto che ho custodito per troppo tempo»

In un reame lontanissimo, chiamato Caderam, regnava un sovrano di nome Bales, il quale, essendo malvagio ed egoista, era profondamente odiato dai suoi sudditi. Un giorno il re convocò suo figlio, il giovane principe Adelfio. Quest’ultimo, che a differenza del padre era buono e cortese, si recò immediatamente nella stanza privata del sovrano per ascoltarlo.

«Padre, mi avete convocato e sono qui per ascoltarvi», disse il principe con deferenza.
«Sì, volevo parlarti, figlio mio, di una questione importante. Io sono ormai molto vecchio e non mi resta molto da vivere; pertanto, è giunto il momento di rivelarti un segreto che ho custodito per troppo tempo».

«Vi ascolto, padre», rispose il principe, incuriosito.

«Per tutta la vita ho custodito la chiave che apre la porta nascosta dietro quel nobile mobilio, e mai nessuno l’ha varcata», confidò il re, indicando con il dito una porta celata nella stanza.

«Solo chi ha un animo buono, come te, figlio mio, può accedervi. Io sono un uomo malvagio, egoista e crudele; ho dedicato la mia vita agli affari di corte, mentre il mio popolo viveva nella miseria e nella sofferenza. Per questo non merito di oltrepassare quella soglia… la mia coscienza non me lo permette», concluse con amarezza il sovrano.

«Figlio mio…», proseguì il re, posando una mano sulla spalla di Adelfio e porgendogli la chiave con l’altra, «tu, che erediterai questo regno e possiedi grandi virtù, potrai decidere se custodire la chiave per sempre o aprire quella porta. Ma ti prego, figliolo, non chiedermi cosa si nasconde dietro…», aggiunse amorevolmente il re. «Confido in te e sono certo che qualunque decisione tu prenderai sarà la più giusta».

«Padre!», esclamò il principe, stupefatto da quel gesto inaspettato. «Io… io…», balbettò, colto di sorpresa ma visibilmente emozionato. «Sono onorato della fiducia che riponete in me e accetto questa responsabilità con gratitudine», concluse.

Trascorsero alcuni mesi e il re morì. Adelfio salì al trono, ma il popolo di Caderam accolse con freddezza la sua ascesa, temendo che il nuovo sovrano fosse simile al suo predecessore. Nonostante gli sforzi di Adelfio per conquistare la fiducia della sua gente, i tentativi di guadagnarsi l’accettazione dei sudditi risultavano infruttuosi. Trascorreva gran parte del tempo nel castello, immerso nelle attività di corte, incapace di trovare un modo per entrare in sintonia con il suo popolo.

Turbato e smarrito, il re consultò i consiglieri, i nobili e i prelati di corte, ma nessuno seppe offrirgli una risposta. Alla fine, ricordando le parole di suo padre, prese una decisione risoluta: «Aprirò quella porta!».

Con la chiave in mano, Adelfio si avvicinò alla porta, la inserì nella serratura e la spalancò con decisione. Un bagliore lo accecò per un istante, ma presto la luce si attenuò, rivelando uno scenario inquietante. Di fronte a lui si presentò un’immagine desolante del suo regno, devastato dalla malvagità del passato. Uomini e donne in misere condizioni vagavano per le strade, cercando disperatamente cibo, accompagnati da bambini malnutriti e sporchi. Le vie erano ricoperte di sterco e immondizia; le botteghe abbandonate, i campi lasciati incolti a causa della carestia. Editti spietati, emanati dal precedente sovrano, imponevano tasse insostenibili: chi non riusciva a pagarle veniva perseguitato, torturato o imprigionato.

Ma ciò che sconvolse maggiormente Adelfio fu la visione di una figura che somigliava incredibilmente a lui: malconcio, vestito di stracci, mendicava tra quella gente disperata.

«Com’è possibile che tutto questo sia accaduto?», si domandò atterrito.

Non riuscendo a sopportare quella visione, Adelfio tornò di corsa nella sua stanza, richiuse la porta e ordinò che la chiave fosse fusa e l’uscio murato, affinché nessuno potesse mai più aprirlo.

Seduto sul suo letto, il re rifletteva: «Cosa significava quella visione? Ero povero anch’io… Cosa voleva dirmi?».

La risposta gli si rivelò presto con chiarezza. Senza perdere altro tempo, il re fece svuotare i forzieri del castello pieni di oro e gioielli e distribuì personalmente ricchezze e provviste al popolo. Le vie del regno si riempirono di persone festanti, che acclamavano il sovrano per il gesto nobile e sincero.

Da quel giorno, il regno di Caderam prosperò. Adelfio governò con giustizia e bontà, guadagnandosi l’amore del suo popolo. E mai più nessun sovrano di Caderam governò con crudeltà.

 

Walter Pasanisi











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