giovedì 10 aprile 2025


09/03/2025 08:53:43 - Manduria - Attualità

L’aria era impregnata dell'aroma di caffè e del profumo di croissant, che si diffondevano dagli accoglienti rifugi frequentati da sciatori chiassosi, i quali interrompevano il silenzio mattutino di quella domenica appena iniziata

Il vento soffiava leggero sul Cervino, smuovendo appena la neve della Ventina, la pista da sci più lunga del comprensorio, incastonata tra due cime cineree alte quattromila metri e il Plateau Rosà. A valle, i turisti affollavano, in attesa di salirvi, la moderna seggiovia che da Cervinia portava sulle piste di Plan Maison. La neve sui pendii, spianata all'alba dai gatti delle nevi, appariva compatta e invitante. Il sole, nascosto dietro una nuvola, irradiava solo una parte del comprensorio. Nelle aree in ombra e sul Piccolo Cervino, dove giungevano gli sciatori più temerari, il termometro segnava una temperatura insolitamente alta per quelle cime, dove normalmente si raggiungevano i meno dodici o tredici gradi Celsius, e la sensazione di freddo era solitamente accentuata dalle correnti gelide che si insinuavano tra le montagne.

L'aria era impregnata dell'aroma di caffè e del profumo di croissant, che si diffondevano dagli accoglienti rifugi frequentati da sciatori chiassosi, i quali interrompevano il silenzio mattutino di quella domenica appena iniziata. In quel luogo incantevole, Edoardo era arrivato sabato mattina. Si era recato in uno ski room per far preparare con cura i suoi carving—sciolina e lamine incluse—e aveva acquistato lo skipass settimanale internazionale Italia-Svizzera, che dava accesso a 150 chilometri di piste, comprendenti il vasto comprensorio di Cervinia, Breuil-Valtournenche e Zermatt.

L’uomo era solito trascorrere le vacanze invernali nel periodo di bassa stagione, nella terza settimana di gennaio, e per due anni consecutivi aveva scelto la stessa località e lo stesso hotel, Lo Stambecco. L'albergo, una struttura di terza categoria che in passato aveva funzionato come stazione della funivia e successivamente era stato adattato per accogliere i turisti, si trovava a Plan Maison e offriva una vista mozzafiato su Cervinia, la rinomata località turistica. L'hotel era collegato al paese tramite una telecabina, che fungeva anche da montacarichi per viveri e merci di ogni genere necessari all’albergo.

L'impianto di risalita si poteva utilizzare nelle ore diurne e sino al pomeriggio; per il resto della giornata, la struttura rimaneva isolata dal mondo. Situato proprio accanto alle piste, l'hotel rappresentava un luogo esclusivo, ideale per gli appassionati della montagna e dello sci. Era lì, immerso nella solitudine e nella bellezza selvaggia delle Alpi, che Edoardo ritrovava la pace e lo spirito d’avventura. Di notte si poteva udire il vento scuotere le imposte delle finestre dell'albergo e il dondolare delle seggiovie che con il loro cigolio, creavano un'atmosfera surreale.

Quella domenica, il sole, che timidamente si era affacciato nelle prime ore del mattino, risplendeva, scaldando e illuminando l'intero comprensorio alpino, fittamente innevato dalle abbondanti nevicate delle settimane precedenti. Le intense precipitazioni nevose e il repentino sbalzo termico, avevano allertato gli esperti della montagna.  Da qualche giorno, infatti, i climatologi monitoravano un versante del comprensorio a causa del rischio di valanghe, che però non destava particolare preoccupazione perché distante dagli impianti e dall'abitato della ridente cittadina valdostana. I segnali del pericolo imminente erano evidenti, ma la bellezza invernale del paesaggio aveva spesso il potere di far dimenticare ai visitatori i rischi del della montagna.  A mezzogiorno, da una parete rocciosa si staccò della neve che, inspiegabilmente, non scese lungo il versante monitorato dagli esperti, ma precipitò rapidamente, ingrossandosi durante la discesa, lungo un fianco, ai margini di una pista nera molto impegnativa.

Edoardo, lasciatosi alle sue spalle la cabinovia, stava per affrontare quel muro di ghiaccio alternato a tratti dove la pista era spigolosa o con la presenza di lastre di ghiaccio levigate dal vento e di gobbe di neve che rendevano il tracciato sconnesso e pericoloso. All'improvviso, un tonfo sordo echeggiò attraverso la valle. Il cuore di Edoardo si fermò per un istante mentre il muro di neve si scatenava lungo il fianco della montagna, trasformando la tranquilla scena in un inferno di bianco. La valanga che si abbatté con furia, travolgendo tutto lungo il suo cammino, aveva alterato il paesaggio e trasportato con sé neve, ghiaccio e parti di roccia staccatesi dal costone, mescolandosi in un ammasso informe. Edoardo, che non ebbe il tempo di arrivare in salvo, fu inghiottito dalla massa di neve e, all'improvviso, si ritrovò intrappolato sotto uno spesso strato bianco così come un paio di altri sciatori poco distanti da sé.

L’uomo, immobilizzato sotto quel cumulo di neve, avvertiva il freddo pungente e batteva i denti in quella oscurità totale. Cercò in tutti i modi di muovere le mani per estrarre dallo taschino della salopette lo smartphone e chiedere aiuto o segnalare la sua posizione, ma ogni tentativo fu vano. Una sacca d’aria gli consentiva di respirare, e questo lo confortava. Edoardo, in un istante, ripercorse la sua vita; lo attanagliava la paura di abbracciare la morte, ma dopo qualche attimo di smarrimento in quei momenti angoscianti, cercò di mantenere la calma per conservare energia e speranza. Tuttavia, era salvo e respirava lentamente, cercando di preservare l'ossigeno disponibile. I minuti sembravano ore mentre attendeva speranzoso i soccorsi. Chissà se sarebbe stato liberato da quella trappola di ghiaccio, si chiedeva preoccupato.

Per ingannare il tempo e tenersi impegnato, continuava a ripercorrere a ritroso la sua vita, pregava, contava e si abbandonava a l’audizione mentale dei sui pezzi di musica preferita, così facendo, scacciava malsani pensieri che lo assillavano. Poi passò a ispezionare mentalmente ogni parte del suo corpo per assicurarsi che fosse integro. Non accusava alcun dolore e lucidi erano i suoi pensieri.

Il casco gli aveva preservato il capo, mentre la maschera, che aveva ben serrata sul viso, era scivolata, incastrandosi tra il petto e la neve. Dopo diversi tentativi, riuscì a muovere un polpaccio e le dita dei piedi, ben protetti dagli scarponi; con sollievo, constatò di non essere paralizzato. Sentì del liquido caldo inumidire la maglia termica, una parte dell’addome, i fianchi e i genitali: un rivolo di urina gli scorreva lungo la gamba destra.

Dopo quello che sembrava un tempo interminabile – venti minuti dalla tragedia – Edoardo udì dei suoni ovattati provenienti dall'esterno. Le squadre di soccorso erano arrivate e stavano lavorando febbrilmente per raggiungerlo.

In aiuto dei soccorritori italiani si mossero anche quelli del versante svizzero di Zermatt, con l’ausilio di un elicottero e personale specializzato. Grazie alle immagini di alcune webcam piazzate in punti strategici del comprensorio, i soccorritori riuscirono a individuare il punto esatto in cui i tre sciatori erano stati investiti dalla valanga. Solo una limitata zona della pista n. 59, all’ombra del Cervino, era stata interessata dalla slavina e, pertanto, non fu difficoltoso per i soccorritori circoscrivere l’area.

Il rombo dell’elisoccorso alzatosi da Cervinia, il suono delle pale che scavavano e le voci dei soccorritori diventavano sempre più vicini. Edoardo si tranquillizzò, convinto di farcela, e con uno sforzo immenso, utilizzando tutta l’aria che aveva nei polmoni, riuscì a emettere un forte segnale. Il suono giunse debole all’esterno, ma fu sufficiente per attirare l’attenzione di un cane da valanga, che fiutò la presenza dell’uomo sotto la coltre di ghiaccio e iniziò a scavare freneticamente con le zampe.

Quando finalmente fu liberato dalla sua biancastra prigione, Edoardo si sentì sopraffatto dall'emozione. Una lacrima gli scivolò sulla guancia e, con la voce smorzata, ringraziò i suoi soccorritori per la loro celerità e professionalità. La luce del giorno e l'aria fresca che riempiva i suoi polmoni erano una benedizione indescrivibile. I soccorritori da una prima valutazione constatarono che il malcapitato non avesse nulla di rotto, aiutarono lo sciatore a mettersi in piedi e lo condussero in ospedale per ulteriori esami. In quella tragedia non ci furono vittime: anche gli altri due sciatori coinvolti, fortunatamente, si salvarono. Riflettendo sulla sua esperienza mentre veniva trasportato in ospedale, Edoardo provò un profondo senso di gratitudine. Aveva sfidato le montagne in cerca di avventura e bellezza, ma quella giornata gli aveva insegnato a rispettarle anche per la loro forza e imprevedibilità. E così, mentre la luce del tramonto tingeva di rosa le cime innevate, Edoardo sapeva che il Cervino gli aveva dato un’altra lezione di umiltà e di gratitudine per la vita.

 

Walter Pasanisi











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