Il commento all’ennesimo colpo di scena in casa Misseri
Con l’arrivo di Mimina Misseri, il condominio del carcere di Taranto è sold out. Crisi di celle anche nella struttura detentiva per il clan al gran completo, che dal villino di via Deledda, si ritrova nella città dei due mari.
Ormai è ufficiale: il fortino inespugnabile, la regista occulta, ha vissuto la sua prima notte in carcere insieme al marito e alla figlia dopo l’ennesimo colpo di scena messo a segno dalla Procura di Taranto.
Le polemiche degli scorsi giorni sollevate a seguito dell’ennesima richiesta degli avvocati di Sabrina Misseri volta ad ottenere la scarcerazione della loro assistita dalla Iª Corte Penale del Tribunale Romano, sono giunte forti e chiare agli orecchi del magistrati inquirenti della provincia ionica che all’invito sottile e latente “o l’assassino o le redini delle cose le prendiamo noi”... hanno impresso quella svolta alle indagini lungamente attesa, concretata con l’arresto annunciato, e oltre l’atto dovuto, sin da quando due giorni fa Mimina Misseri è stata scritta formalmente nel registro degli indagati.
Pesantissimo il fardello penale sulle spalle dell’altra metà delle quote rosa di casa Misseri & Misteri: concorso in omicidio premeditato, soppressione di cadavere, e sequestro di persona. Dopo essere stata trattenuta presso la stazione dei Carabinieri di Avetrana per notificarle il provvedimento a suo carico, la donna è stata accompagnata presso la struttura carceraria alla 19,45 circa.
La verità in 90 pagine di verbale nelle quali si dice sostanzialmente che a strangolare la povera Sarah con una cintura sarebbero state Sabrina e sua madre chiedendo al marito di disfarsi del cadavere, avallando l’ipotesi da sempre sostenuta dagli inquirenti, che l’omicidio sarebbe stato commesso in casa e non nel garage e solo successivamente, da una serie di porte interne, trasportato presso il luogo tomba in cui è stato sepolto per 42 giorni.
Questione dunque di celle telefoniche, 40 secondi di conversazione che accomunano le celle agganciate da entrambi i telefonini delle donne, egualmente responsabili dell’omicidio, per cui i tanti “non so e se c'ero non so nulla” dietro alle quali si era
trincerata Mimina Misseri nel corso degli interrogatori con gli inquirenti.
Insomma galeotto l’intervento della Cassazione, rispetto al quale risponde con tenacia la Procura di Taranto che aveva trattato con una certa prudenza, il materiale accusatorio contro la donna, frutto di intercettazioni telefoniche e riscontri incrociati con le risultanze dei Ris e del Ros di Lecce e Roma. Tra l’atro si è in attesa dei riscontri sul compressore che conterebbe tracce biologiche al vaglio delle autorità e che farebbe presagire il coinvolgimento di altri indagati illustri di casa Misseri.
Molto più di un semplice affare di famiglia, ma un'indagine di una feroce complessità, vista, rivista, e riscritta dalle sette versioni di Michele, tra alti e bassi, lettere e smentite. Non basta però per la Procura, Mimina era in casa e non poteva non sapere a tal punto che nel corso dell’omicidio premeditato la moglie di Michele non avrebbe fatto nulla per prevenirlo. Naturalmente si aggrava la posizione di Sabrina, si alleggerisce quella di Michele, si fa per dire, vittima per caso, da definire quelle dei probabili complici. Si chiarisce anche il movente dell’omicidio, oltre quello della gelosia sciorinata sin
Dall’inizio, ma l’ultimo atto di alcune settimane di freddure tra Sabrina e la cugina che rese pubblico il rifiuto di Ivano nella famosa sera dell’approccio in macchina.
Odio su odio, sms, su sms: questione di messaggini, numericamente e storicamente distribuiti tra i giorni precedenti e successivi, che inchiodano la gang alle sue responsabilità. Tutto in divenire, da qui in avanti ok la versione è giusta non esiste più e se la Procura ha scatenato l’inferno segno che ha molta carne a fuoco. Che tristezza! Storie di casa nostra, annegate giorno dopo giorno, nell’assurdità e nella tristezza di un sud cambiato troppo in fretta. Staremo a vedere.
Mimmo Palummieri