«...perchè il mare non è in vendita»
L’estate 2011 sarà ricordata come l’anno dell’emergenza cozze, una problematica purtroppo non nuova per Taranto che, in quanto città di mare, lega parte della sua economia a questa risorsa. Le attività della pesca, il porto, la marina militare, il turismo: quattro mondi accomunati da un elemento comune, il mare, ma spesso così distanti se non addirittura in contrasto. Eppure, vi sono realtà -in Italia e all’estero- dove tali attività convivono in simbiosi perfetta e dove la presenza dell’una non esclude l’altra.
<<Il successo delle economie legate al mare dei paesi del Nord Europa dimostra come l’approccio alla risorsa mare, non possa essere affrontato che –commenta Leonardo Giangrande, presidente di Confcommercio Taranto- con una logica di utilizzo ragionato del ‘sistema mare’. Esattamente il contrario di quel accade dalle nostre parti, dove la scarsa tutela dell’ambiente marino sta generando guasti che metteranno una pesante ipoteca sullo sviluppo futuro delle attività del turismo e della pesca. Accanto al dramma dei mitilicoltori del Mar Piccolo, abbiamo registrato, in particolare in questi ultimi mesi, le forti tensioni delle popolazioni delle località rivierasche della costa jonico-salentina, giustamente preoccupate di difendere il proprio mare dalle conseguenze che ne deriverebbero se il partito dei sostenitori del depuratore consortile con scarico a mare (marine di Manduria, Avetrana e Sava) avesse la meglio. Tutto questo mentre a Campomarino e Lizzano maleodoranti chiazze di olio e di rifiuti vari galleggiano a pelo d’acqua, e dall’altro capo della costa –nei pressi della Foce del Pino di Lenne (Palagiano)- l’acqua ribolle. Per non parlare poi dell’erosione costiera e del degrado delle scogliere utilizzate come discariche a cielo aperto di rifiuti di ogni sorta».
La Commissione Europea sul tema della politica ‘marittima integrata’ nel 2007 ha istituito i Tavoli della pesca e dell’ambiente per promuovere un sostegno all’idea che sia possibile conciliare le attività economiche con la tutela dell’ambiente a condizione di adottare un sistema di governance fondato su opportuni meccanismi trasversali basati anche sulla collaborazione scientifica tra le istituzioni che si occupano di ricerca marina per stabilire un monotiraggio continuo dello stato delle risorse, nonché misure di collaborazione tra i paesi rivieraschi. In uno dei Tavoli di lavoro organizzati in Montenegro, nel maggio scorso, su la questione della sostenibilità delle acque e delle risorse in Adriatico è stata avanzata una interessante proposta: la creazione di una task force per monitorare la situazione dell’impatto dei rifiuti su l’ambiente marino e suggerire misure per eliminare le principali fonti d’inquinamento dei fondali, e contestualmente alla Commissione europea si è chiesto di creare un piano di azione che assicuri fondi per intervenire in caso di inquinamento eccezionale di rifiuti comunali, al fine di evitare ripercussioni sul turismo e sulla salute pubblica.
«Ciò dimostra come l’obiettivo ‘tutela della risorsa mare’ sia ormai –afferma Giangrande- una necessità impellente e come via sia ad ogni livello (istituzionale, economico-produttivo e sociale) la consapevolezza che il mare, per quanto sistema in grado di auto-rigenerarsi, non è un pozzo senza fondo. L’elemento mare nel sistema economico provinciale rappresenta la scommessa del futuro, ad esso fanno riferimento una serie di attività alternative (logistica, mitilicoltura, turismo) alla monocultura industriale che sino ad oggi ha trainato l’economia jonica. Le attività del turismo sono imprescindibilmente legate ad esso, per cui abbiamo l’assoluto bisogno di impedire che nuovi elementi esterni non eco-compatibili (dagli scarichi a mare agli impianti di depurazione, compreso gli insediamenti industriali off shore) possano compromette definitivamente un equilibrio che in alcuni casi –come in in Mar Piccolo- è già saltato. La crisi economica del settore mitilicolo che oggi investe un settore produttivo e che quasi certamente è stata in buona parte determinata dagli insediamenti militari ed industriali, è la rappresentazione anticipata di quel che potrebbe succedere se si diffondesse l’idea che le nostre acque non sono più limpide e cristalline perché vi è un depuratore a mare che scarica liquami. La politica e le istituzioni dinnanzi alle grandi scelte dovrebbero imparare a parlare con una sola voce, al di sopra e al di la degli schieramenti, mettendo da parte posizioni preconcette. La gente comune, l’opinione pubblica fortunatamente questo l’ha capito, ora spetta alla politica dare un segnale concreto di cambiamento…perché, in mare non è in vendita»..