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13/11/2011 08:30:59 - Provincia di Taranto - Attualità

Il Cavaliere ha chiesto garanzie su giustizia

Passo indietro di Letta: «Non voglio costituire né un problema né un ostacolo»
 
Silvio Berlusconi si è dimesso da presidente del Consiglio al termine di una lunga e convulsa giornata, contrassegnata dalle fibrillazioni interne al Pdl e dall'approvazione della Legge di stabilità.
 
L'annuncio del Quirinale. Donato Marra, segretario generale della Presidenza della Repubblica, comunica che il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha rassegnato le dimissioni nelle mani del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Il governo resta in carica per il disbrigo degli affari urgenti.
 
Berlusconi, uscito tra le contestazioni da Palazzo Grazioli alle 20,50, è arrivato al Quirinale sette minuti dopo. Il corteo di auto del premier è entrato a fatica nella piazza del Quirinale perchè una folla di migliaia di persone l'ha occupata urlando “buffone, buffone” e “in galera”, come già avvenuto alla fine del Consiglio dei ministri.
 
Il presidente Napolitano avvierà domani mattina le consultazioni dei presidenti di Camera e Senato e dei gruppi parlamentari, per arrivare in tempi rapidi all'incarico a Mario Monti, prima dell'apertura dei mercati di lunedì.
 
Monti oggi, dopo l'incontro con Mario Draghi, ha sentito tutti gli attori politici. Il Pd, innanzitutto. Quindi Silvio Berlusconi in un pranzo durato due ore, poi il Terzo Polo e i presidenti di Camera e Senato.
 
Il nodo principale è la presenza di Gianni Letta nel futuro esecutivo, che Berlusconi pretende e il Pd potrebbe anche digerire: «La nostra garanzia è Monti stesso». Ma la cosa non va bene ad Antonio Di Pietro. Pier Luigi Bersani ed Enrico Letta hanno rassicurato Monti: «Da noi lei deve sentirsi coperto. Il Pd c'è e le lascia ampia libertà nella scelta della squadra». I democratici non porranno paletti a un governo anche tutto tecnico. «La partita non è chiusa. Anche la giornata di domani sarà fondamentale», avvertono però dal Pd.
 
Dodici ministri, tutti tecnici. Il governo di Mario Monti non è ancora completo, ma lo schema sembra assodato. Verrà rispettata alla lettera la legge Bassanini (12 dicasteri con portafoglio e un numero limitato di sottosegretari, forse una ventina). E la politica resterà fuori dalle poltrone che contano. Nella tarda serata Gianni Letta, sottosegretario uscente alla presidenza del Consiglio, ha fatto un passo indietro, spiegando al presidente Napolitano di non voler rappresentare «né un problema né un ostacolo».
 
Un ministero chiave come l'Economia potrebbe andare a Guido Tabellini, rettore della Bocconi. Allo Sviluppo Economico, in pole position è un altro bocconiano, Carlo Secchi. Giuliano Amato, politico vicino al Pd ma per il profilo considerato un tecnico, potrebbe tornare alla poltrona di ministro dell'Interno, che già ricoprì nell'ultimo governo Prodi. Ma potrebbe anche essere designato per la Farnesina, visto il prestigio internazionale. In alternativa, agli Esteri potrebbe essere indicato il diplomatico Giampiero Massolo, segretario generale del Ministero. Favori bipartisan sembra incontrare l'ipotesi che al Welfare vada Carlo Dell'Aringa, docente dell'università Cattolica e amico di Marco Biagi, ma gradito anche alla Cgil. Piace anche Lorenzo Ornaghi, rettore della Cattolica, all'Istruzione.
 
Alla Giustizia, ministero che Berlusconi avrebbe voluto conservare a Nitto Palma, dovrebbe andare Cesare Mirabelli (già membro di Csm e Consulta). Ma in alternativa si fanno i nomi di Ugo De Siervo o Piero Alberto Capotosti. Alla Difesa il nome del generale Rolando Mosca Moschini (attualmente consigliere militare del Quirinale) appare più forte rispetto a quello dell'ex capo di Stato maggiore Vincenzo Camporini. Al ministero dell'Agricoltura potrebbe invece approdare Federico Vecchioni, ex presidente di Confagricoltura, considerato vicino a Luca Cordero di Montezemolo. Alle Infrastrutture il nome di Lanfranco Senn, docente della Bocconi e presidente di Metropolitana Milanese spa, sembra eclissare Rocco Sabelli (ad di Alitalia). Incognite sulla poltrona dell'Ambiente e della Cultura. Per quest'ultima si fa il nome di Paolo Baratta, che però ha dichiarato di voler restare presidente della Biennale. Un posto da sottosegretario alla presidenza del Consiglio dovrebbe avere Enzo Moavero, già capo di gabinetto di Monti.
Il totonomine proseguirà fino all'ultimo secondo. Per i dicasteri economici ancora non sono del tutto archiviate le ipotesi Saccomanni, Bini Smaghi o anche Grilli. Mentre per lo Sviluppo circolano i nomi di Catricalà, Gnudi, Giovannini (Istat) o anche Emma Marcegaglia. Per il Welfare si citano sindacalisti (ma Bonanni si è tirato indietro) o figure come Nicola Rossi e Piero Ichino. Andrea Riccardi o Francesco Profumo vengono tirati in ballo per l'Istruzione.










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