La Finanza sta accertando se i 67 braccianti non hanno mai lavorato per l’imprenditore o se l’abbiano fatto, ma in terreni diversi da quelli presi in affitto e regolarmente dichiarati
Da una grana all’altra. Proprio nei giorni in cui è iniziato il processo per la morte di Sarah Scazzi, Michele Misseri, Cosima Serrano e le due figlie Sabrina e Valentina, sono coinvolti in una indagine della Guardia di Finanza di Francavilla Fontana che ha denunciato un imprenditore agricolo ultrasettantenne.
Anche i quattro componenti della famiglia di Avetrana sono, infatti, tra i 67 lavoratori irregolari assunti dall’uomo. Braccianti agricoli che in realtà non avrebbero mai messo piede nei campi dichiarati dal 70enne e per questo sono stati segnalati all’Inps, affinché si accerti la loro responsabilità nella truffa orchestrata dall’imprenditore accusato di aver sottratto 400mila euro al fisco e ben tre milioni e mezzo all’Inps.
L’indagine avviata delle Fiamme Gialle di Francavilla, dirette dal comandante Antonio Triggiani, non si ferma: bisognerà capire se i braccianti non hanno mai lavorato per l’imprenditore o se l’abbiano fatto, ma in terreni diversi da quelli presi in affitto e regolarmente dichiarati. Nel primo caso, la famiglia Misseri e gli altri braccianti, potrebbero persino essere accusati di aver partecipato in modo attivo alla truffa.
Ma cosa accadeva nei campi di Erchie? Nulla di quanto era ufficialmente messo nero su bianco. L’imprenditore, da un lato gestiva una attività agricola su alcuni campi, senza però dichiarare nulla al fisco; dall’altro c’erano terreni dichiarati su cui nessun bracciante aveva mai messo piede. Questo sarebbe accaduto nel caso di Michele Misseri, Cosima Serrano e delle due figlie Sabrina e Valentina. Sulla carta l’imprenditore aveva preso in fitto degli ettari da coltivare, ma quando i finanzieri hanno chiesto spiegazioni ai proprietari, loro sono rimasti di stucco, affermando che su quegli appezzamenti, nelle campagne di Erchie, non c’era nessuna attività agricola tantomeno svolta sotto la gestione di terzi. L’assunzione di 67 braccianti è risultata dunque fittizia. Dato che, secondo la legge, se un bracciante lavora almeno 150 giorni all’anno, alla fine di questo periodo può richiedere l’indennità di disoccupazione, l’assunzione permetteva ai 67 operai di poter intascare il denaro. Per avere questo vantaggio i braccianti pagavano di tasca propria i contributi previdenziali, versando il denaro al titolare dell’azienda che avrebbe dovuto poi passarli all’Inps.
Così non è stato e l’imprenditore ha accumulato con l’ente previdenziale un debito di circa tre milioni e mezzo di euro. Per questo risponde di occultamento di scritture contabili, falsità materiale e truffa i danni dello Stato.