mercoledì 25 settembre 2024


05/02/2012 12:51:28 - Provincia di Taranto - Attualità

Don Lorenzo ricostruisce, per Manduria Oggi, quella terribile notte

 
Come e quando è venuto a conoscenza dell'incidente che aveva coinvolto la Costa Concordia ?
«Quella notte avevo appena finito di fare una riunione in Parrocchia, mi ero ritirato in casa e una mia parrocchiana mi ha telefonato per dirmi che la nave si era incagliata, era inclinata di poppa e stava imbarcando acqua» è la risposta di don Lorenzo Pasquotti, parroco dell’Isola del Giglio. «Ho subito capito che tutta la gente a bordo avrebbe dovuto essere sbarcata e sistemata a terra. La mia chiesa è proprio di fronte al porto e così ho pensato di aprirla per i primi soccorsi».
Quale scena le si è palesata ed ha compreso sin da subito la gravità dell'accaduto?
«Aprendo il portone della chiesa ho visto la gente che già era sbarcata, con i loro salvagente addosso e i teli per il vento. Loro hanno visto che aprivo la chiesa e sono entrati. Da quel momento è stato tutto un via-vai di gente fino alle 5 o 6 del mattino dopo. 4 mila persone da sistemare non sono uno scherzo per la realtà del Giglio».
Chi coordinava da terra i soccorsi dei naufraghi?
«Non lo so di preciso, io ero in chiesa. Da me arrivava la gente e basta. Dopo ho saputo che c’era un gruppo di Gigliesi che indirizzava i naufraghi in un posto o in un altro, a secondo della tipologia delle persone».
In che modo si è organizzato per prestare i primi soccorsi agli scampati al naufragio?
«I primi a arrivare in chiesa sono state le famiglie giovani con i bambini. Sono salito in casa mia, ho preso quelle poche coperte che avevo e le ho portate giù per coprire i bambini. Poi sono arrivate le persone del Giglio, con acqua, the caldo, coperte e un po’ di pane e biscotti…».
Chi l'ha aiutata?
«In chiesa venivano in molti a portare generi di prima necessità».
Qual è stata la richiesta che l'ha colpita maggiormente?
«Spesso chiedevano dove si trovavano. Quasi nessuno sapeva dove fosse il Giglio, soprattutto gli stranieri. Mi chiedevano anche se avevo visto qualcuno (e me lo descrivevano). E poi mi chiedevano cosa dovevano fare, chi li avrebbe soccorsi…
Qualcuno è venuto in casa mia per mandare delle e-mail alle famiglie per rassicurarli».
Nel prestare soccorso ha pesato più l'aiuto del sacerdote, o il bisogno di un uomo comune che messo davanti ad un'emergenza ha fatto quello che ha potuto come chiunque altro?
«Io ho fatto esattamente questa seconda cosa. Certo, chi mi vedeva, si accorgeva che ero un prete dal colletto della camicia. E mi faceva segno che apprezzava. Non tutti erano cattolici, non tutti erano cristiani, non tutti erano credenti. Ma avevano capito lo spirito che ci animava».
Quanto ha pesato la preghiera in un momento come quello? Ha condiviso con i naufraghi momenti di spiritualità profonda subito dopo lo sbarco?
«No, niente spiritualità in quei momenti. Ho visto gente vicino alla statua della Madonna, che pregava. Ho visto un ragazzo asiatico in ginocchio sulla panca che pregava in silenzio, forse era musulmano».
Nel momento dell'emergenza a chi ha chiesto aiuto e perché?
«L’aiuto materiale veniva dalla gente del Giglio, dal loro andare avanti e indietro con la roba da portare ai naufraghi. Quel loro darsi da fare mi ha incoraggiato. Non mi sono mai sentito solo a fronteggiare un’emergenza così sproporzionata. Ma avevo anche in cuor mio la consapevolezza che il Signore ci stava vicino e benediva i nostri sforzi».
Quale storia l'ha colpita particolarmente?
«Un ragazzo dell’equipaggio, del Perù, che si era gettato in mare e che era arrivato in chiesa tutto bagnato e vicino all’assideramento. L’abbiamo portato su in casa mia, l’abbiamo cambiato, gli abbiamo dato del the caldo con i biscotti, poi si è messo sul divano con una coperta addosso e ha dormito tutta la notte».
Nelle ore immediatamente successive allo sbarco dei naufraghi che cosa è successo?
«Sono andato al porto per vedere se riuscivo a capire cosa stava succedendo. Fino a quel momento ero sempre stato solo dentro la chiesa, al massimo sui gradini fuori della porta. Volevo cercar di raccogliere delle informazioni».
Sicuramente la sua sensibilità di sacerdote, padre di tutti, l'ha portata a mettere qualcosa in più nei soccorsi. Cosa esattamente?
«La cosa in più è stata, forse, il non arrendersi alla stanchezza. Quello che io ho fatto quella sera è stato lo stare vicino alla gente, essere con loro, far loro vedere che, anche se non potevo fare grandi cose, ero vicino a loro come potevo. Sono arrivato a riempirmi le tasche di caramelle e di girare tra la gente a offrirle… Non era una gran cosa, ma un segno di vicinanza e di disponibilità».
In che modo è intervenuto sui bambini?
«Appunto: con le caramelle. All’inizio ho portato giù le mie coperte e qualche maglia, ma sono andate via subito».
E' rimasto in contatto con qualcuno dei naufraghi, o qualcuno l'ha più cercata per scambiare qualche parola con lei o per ringraziarla?
«Non tanti. Per ora solo una giovane coppia di Terni che era sulla nave in viaggio di nozze (credo) è venuta domenica scorsa a salutare e a ringraziare. Qualcuno mi ha scritto delle lettere per restituire delle scarpe e delle coperte. Una signora, che non era sulla nave, mi ha mandato 50 euro come offerta per le spese che abbiamo avute quella notte (!!!!). Bello, no?».
Che cosa non riuscirà mai a dimenticare?
«Gli sguardi spaesati e infreddoliti della gente. Il loro cercar di capire cosa stesse succedendo…».
Quando le capita di ripensare a quella sera, nei momenti di intensa riflessione di un sacerdote, che cosa le viene in mente più di frequente, o la sera, andando a dormire a chi o a che cosa le capita di ricordare?
«Penso che nella disgrazia di quella gente, noi del Giglio abbiamo avuto la nostra occasione di mettere in pratica la nostra fede. È facile credere quando va tutto bene e non ti costa niente! Ma quando sei chiamato “a fare gli straordinari”, allora capisci cosa vuol dire davvero Gesù Cristo per te, che lì, quella notte, si è presentato nelle vesti di quei bisognosi. E lì non si scherza…».
Vorrebbe conoscere il destino che ne è stato di chi?
«No, non mi interessa particolarmente. Spero per loro che ora stiano bene, nelle loro case e con le loro famiglie. E che, magari, si ricordino di noi del Giglio, che quella notte abbiamo fatto del nostro meglio».
Riguardo alle tante polemiche da quel giorno in poi, in che modo sente di poter stemperare i toni?
«Le polemiche le hanno fatte chi non c’era quella notte a soccorrere la gente. In ogni caso, ognuno può dire quello che vuole. Ma si capisce da che pulpito vien la predica…».
La gioia di un sacerdote padre della sua comunità è quella di verificare la maturità della famiglia che guida, com'è cambiata la sua parrocchia da quel momento in poi?
«Forse è ancora presto per verificarlo. Ma penso che la gente non sarà più la stessa. Toccare con mano la miseria umana non ti può lasciare più come prima. La gente non sarà più come prima e l’isola stessa non sarà più quella di prima. L’isola non sarà più solo “la nostra isola” o “l’isola delle vacanze”. Quest’isola ha incontrato anche il dolore e l’ha condiviso».
Vorrebbe aiutare la comunità italiana ed internazionale a comprendere le responsabilità di chi ha sbagliato senza puntare il dito nel tentativo di colpevolizzare a tutti i costi?
«Le responsabilità umane sono nelle mani degli inquirenti. La giustizia degli uomini farà il suo corso. Penso, però, che chi ha sbagliato, per negligenza o per leggerezza, debba rispondere della morte di tante persone innocenti, del dolore di tante famiglie e anche dei danni materiali. Sennò è troppo comodo…».
Mancano alcune persone all'appello, tra cui una bambina di cinque anni: che cosa si sente di dire alle famiglie, ma anche a noi per aiutarci a riflettere senza giudicare? 
«Cosa vuoi dire a una famiglia che ha perso una bambina di 5 anni? Si può solo star loro vicino, condividere e cercar di consolare il loro dolore. Che altro si può fare?».
In che cosa crede che la stampa internazionale possa aiutare le indagini in questa, come in altre circostanze?
«Tutta la stampa, nazionale e estera, se vuole fare un servizio alla comunità, mantenga vigile l’attenzione ANCHE DOPO, quando si spegneranno i riflettori e si parlerà di altre emergenze più nuove e forse più urgenti. Così il lavoro fatto non andrà nel dimenticatoio, e chi è chiamato a svolgere i lavori di indagine e di recupero sappia che l’opinione pubblica li guarda. Con affetto, con comprensione e con gratitudine. Ma anche aspettandosi dei fatti concreti».
Che cosa non le è piaciuto o le ha dato più fastidio della gestione materiale o mediatica di questa penosa disgrazia?
«No, per ora non mi ha disturbato quasi niente. I soccorritori (Vigili del Fuoco, Capitaneria di Porto, Protezione Civile, Carabinieri, Croce Rossa e tutti gli altri) sono stati e continuano a essere davvero esemplari. Anche Costa Crociere sta collaborando attivamente. E anche i giornalisti hanno fatto il loro lavoro. Magari sono stati talvolta un po’ invadenti… Ma capisco anche le loro esigenze».
Quale spunto di riflessione, quale parola o immagine ci vuole consegnare in seguito all'esperienza vissuta insieme alla sua comunità?
«Quando si lavora tutti uniti e per uno scopo riconosciuto da tutti come uno scopo “nobile”, la fatica e le privazioni passano in secondo piano. L’egoismo lascia spazio alla generosità. Bisogna solo far tesoro di questa esperienza e ricordarsi chi siamo stati quando siamo stati chiamati a esserci».
Che cosa si sente di dire ai curiosi del macabro che affollano le scene delle tragedie?
«Beh, coi tempi che corrono, coi programmi “guardoni” che certa TV ci propina, non mi stupisco più di niente. Ognuno fa la sue scelte».
Che consiglio si sente di dare alle istituzioni?
«Chi sono io per dar consigli alle Istituzioni? Forse uno solo: quando si lavora, si lavori CON la gente e non solo SOPRA la gente. Anche se il lavoro è buono (e noi sappiamo che è buono), non basta: deve anche essere percepito come buono. Così la gente saprà che le Istituzioni stanno dalla sua parte. In questo, il nostro Sindaco sta facendo davvero un ottimo lavoro».
In che modo crede che potrebbe limitarsi l'uomo di oggi che sfida i limiti a tutti i costi? Che cosa si sente di dire a proposito?
«In questa vicenda non vedo che si siano sfidati dei limiti. Solo leggerezza o debolezza umana, entrambe colpevoli. Con conseguenze, è vero, drammatiche. Ma anche abbastanza circoscritte. Pensiamo se la nave fosse affondata…».
Nel ringraziare la sua comunità, la sua isola ed il comune dell'isola del Giglio, anche a nome nostro, consegniamo un ultimo pensiero alle vittime ed ai dispersi, affinché venga loro resa almeno una degna sepoltura?
«Ormai non credo che nessuno pensi più di ritrovare vivi i dispersi, purtroppo. Ricordando “I sepolcri” del Foscolo, vorremmo avere un luogo o un corpo su cui riflettere e/o piangere, e non lo abbiamo. Ma i nostri cari non sono qui o là, sono “dentro”. Solo così potranno restare vivi».
 
Mimmo Palummieri










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