Un migliaio fuori dai cancelli del Tribunale: cori, striscioni e una fascia bianca al braccio per esprimere solidarietà alle vittime dell’inquinamento e agli allevatori colpiti dall’abbattimento del bestiame
Davanti al Tribunale di Taranto si respirava aria nuova. Aria di svolta, aria di cambiamento.
La maxi perizia di cinquecento pagine nelle mani del gip Patrizia Todisco inchioderebbe l’Ilva alle sue responsabilità. Il pool di esperti che per più di un anno ha raccolto dati sull’attività delle ciminiere del siderurgico e sulle emissioni di fumi e polveri nel cielo del capoluogo ionico, ha esposto i risultati nel corso dell’incidente probatorio che si è svolto nelle aule di via Marche.
La contaminazione da diossina e Pcb dei terreni e degli animali a Taranto – documentano i periti – è dovuta ai camini della fabbrica d’acciaio più grande d’Europa: la relazione rappresenta soltanto la prima parte del lavoro ma è già un passo in avanti storico per Taranto e per la popolazione esposta senza riparo alle tragiche conseguenze dell’inquinamento. È tutto nero su bianco: cause ed effetti. Tre conclusioni, in particolare: dallo stabilimento si diffondono polveri che contengono sostanze pericolose – si legge nella perizia – per la salute dei lavoratori e per la popolazione: benzo(a)pirene, diossine, Pcb; i livelli di diossina e Pcb rinvenuti negli animali abbattuti, e i livelli di diossina e Pcb accertati nei terreni circostanti l’area industriale di Taranto, sono riconducibili alle emissioni di fumi e polveri dello stabilimento Ilva; all’interno dello stabilimento – si scopre nelle pagine che chiudono l’indagine – non vengono osservate tutte le misure idonee ad evitare la dispersione incontrollata di fumi e polveri nocive alla salute dei lavoratori e dei cittadini.
Ci sono degli indagati: Emilio Riva e il figlio Nicola, attuale presidente dell’Ilva, Luigi Capogrosso, direttore dello stabilimento e Angelo Cavallo, capo area del reparto Agglomerato. Le accuse a loro carico vanno dal disastro ambientale all’avvelenamento di sostanze alimentari e getto di sostanze pericolose. Dopo la sentenza storica di Torino che ha condannato i vertici della multinazionale Eternit per disastro ambientale doloso e omissione volontaria delle cautele antinfortunistiche – 2.191 morti e 665 malati di patologie causate dall’amianto – anche a Taranto studenti, cittadini e associazioni ambientaliste sperano ora nella giustizia.
Erano un migliaio fuori dai cancelli del Tribunale: cori, striscioni e una fascia bianca al braccio per esprimere solidarietà alle vittime dell’inquinamento e agli allevatori colpiti dall’abbattimento del bestiame. Sono state ore di partecipazione, di riflessione: la strada sarà lunga prima di arrivare a una sentenza “ma la città è consapevole del destino che l’aspetta – dichiara Luigi Boccuni di Altamarea – continuando di questo passo”.
Bill Emmott, ex direttore dell’Economist, era presente insieme a una troupe di freelance. “Stiamo girando un documentario – ha spiegato la regista – si chiamerà Good Italy e parlerà delle forze migliori di questo Paese”. Ci sono anche i tarantini tra quelli che lottano e resistono.
Nicola Sammali