Una poesia che è una dolce terra e occhi di donne perdute
di Pierfranco Bruni
Sono stato amico di Lucio Dalla. Per le sue poesie. Per il suo canto ed è rimasto dentro di me sin da quel “4 marzo 1943”, data anche della sua nascita, che risale al 1971. Ci sono ricordi legati alla sua voce e alle sue parole che non mi lasciano proprio in questi giorni, in queste ore. Mi trovavo a Sorrento. Sono passati anni. La donna che avevo accanto non è più la stessa: con gli occhi, lo sguardo, la passione. Basta poco e tutto si percepisce. Come l’amore che si disturba. Avevo già incontrato Lucio Dalla qualche anno prima a Roma e mi aveva raccontato la nascita di alcune sue canzoni. Da Ulisse ai viaggi indefinibili.
Dalla mi riporta nostalgie. A Sorrento, tra i vicoli, con quella donna che non è più la stessa o che percepisco che non sia più la stessa ascolto, in lontananza, una voce nel vento: “Qui dove il mare luccica e tira forte il vento/su una vecchia terrazza/davanti al golfo di Surriento/un uomo abbraccia una ragazza/dopo che aveva pianto/poi si schiarisce la voce e ricomincia il canto”. Un primo impatto in cui un’immagine che mostra una visione quasi onirica si avvale di sensazioni che sono dei dettati poetici. Oltre la musica. La visione richiama il sogno in un quadro nel quale vengono fissati i personaggi. Qui è il racconto e da qui parte non solo il viaggio onirico ma anche il taglio letterario. Si tratta di “Caruso” di Lucio Dalla. Sull’onda del tenore Enrico Caruso Dalla ha recitato i segni di un amore. Quell’amore continua ma Lucio Dalla non c’è più.
Una straordinaria impressione di colore in una espressione di immediati luci colorate. Ma il quadro si allarga e richiama profili che rimandano ad una cultura dai linguaggi popolari. La lingua e il dialetto sono un misto di varianti che in questo caso preciso definiscono il linguaggio. Così ancora: “Te voglio bene assaie/ma tanto tanto bene sai è una catena ormai/che scioglie il sangue dint’e vene sai”. Ecco. Qui sta la grandezza di questo testo.
Non si tratta soltanto di una riproposta ma di un modello letterario e musicale che ha una sua entratura nel meraviglioso. Si raggiungono picchi elevati di poesia in cui l’immagine (e non l’immaginazione) non si serve più della metafora ma vive dentro quei processi, appunto, linguistici che offrono un immediato spaccato che si apre a scena aperta. E’ come se fosse un testo che si apre ad una vera e propria sceneggiatura. Tutto, dunque, è giocato sull’immagine. E’ come se l’ascoltatore o il lettore del testo assistesse ad una scena di un film se non addirittura viene coinvolto totalmente nel vissuto dell’avventura.
Ma ecco l’afflato poetico potente: “…quando vide la luna uscire da una nuvola/gli sembrò più dolce anche la morte/guardò negli occhi la ragazza/quegli occhi verdi come il mare/poi all’improvviso uscì una lacrima/e lui credette di affogare”. Insomma siamo in una parola alata ma colta nell’immenso di una malinconia che la musica trasforma nel suo nostalgico sentire il tempo come dimensione di bellezza e di morte.
C’è un inno alla musica. Musica dolce e tragica (non poteva essere diversamente proprio con Caruso) che attraversa tutta l’impalcatura letteraria del testo: “Potenza della lirica dove ogni dramma è un falso/che con un po’ di trucco e con la mimica/puoi diventare un altro/ma due occhi che ti guardano così vicini e veri/ti fan scordare le parole/confondono i pensieri… (…)/…è la vita che finisce/ma lui non ci pensò poi tanto/anzi si sentiva già felice/e ricominciò il suo canto”. E’ veramente un atto sublime questo testo di Dalla. Intreccia, come si diceva, nostalgia ed evocazione.
Oltre ogni cospetto realista tutto è decodificato da una storia che perde la storia e si gioca tutto sulla fantasia – immagine – sogno. Come in un altro canto dal titolo: “Tu non mi basti mai” (composto insieme a T. Ferro). Immagini e poesia dentro il paesaggio della musica. “Vorrei essere il vestito che porterai/il rossetto che userai/vorrei sognarti come non ti ho sognato mai… (…)/Tu tu non mi basti mai/davvero non mi basti mai/tu tu dolce terra mia/dove non sono stato mai”.
Un ripetitivo che sta nella logica del battuto lirico – onirico. Mi pare fondamentale questo incastro che diventa non un esercizio stilistico ma una capacità stilistica di rendere malleabile un discorso poetico ben visualizzato dalla forma lirica stessa. Lucio Dalla, in fondo, plastifica la parola e la immerge già di per sé in una musicalità che ha una cadenza ritmata sulla parola. Non ci sono percorsi invasivi.
A volte si intromettono nella musica dei versi che non rendono, come parola, musicalmente ma che hanno un loro senso sul piano della definizione e compiutezza testuale. Si pensi proprio all’incipit di “Quale allegria”: “Quale allegria se ti ho cercato/per una vita senza trovarti/senza nemmeno avere la soddisfazione/di averti per vederti andare via…”. Versi che sono contestuali ad un progetto poetico e si completano con l’articolato della musica.
Crea atmosfere. Si immerge nelle città, recupera luoghi ma definisce anche profili e personaggi. Si pensi ad “Anna e Marco”. Ad un inciso particolare che batte insistentemente sulla corda della poesia: “…dimmi tu dove sarà/dov’è la strada per le stelle/mentre parlano si guardano/e si scambiano la pelle”. Al racconto di un amore che è immensità: “Chiudi gli occhi e non guardarti intorno/sta già entrando la luce del giorno/chiudi gli occhi e non farti trovare/pelle bianca di luna devi scappare/dormi ora stella mia/prima che il giorno ti porti via (da “Stella di mare”).
I testi di Dalla hanno una corposità, una fisicità, un attraversamento il cui senso poetico sta al di fuori di qualsiasi parentela precisa sul piano letterario ma sono un vissuto poetico. In alcuni testi si avverte una presa diretta con la realtà fisica (penso a “Piazza grande” o a “4 marzo ’43) in molti altri sono l’immagine e l’approccio (e approdo successivamente) onirico che dominano. Un viaggio che è fisicità e sentimento (come in molti testi esteticamente elevati di Riccardo Cocciante anche se siamo su altro versante pur restando sempre all’interno di una canzone – poesia).
Ebbene Lucio Dalla fa della parola immagini. Sono questi immagini che diventano sensazione e suscitano emozione. Il caso citato all’inizio mi pare, comunque, una dimostrazione emblematica e fondamentale. Si fonde l’immagine con l’immaginario (ancora una volta non siamo nel campo dell’immaginazione).
Una lezione di estetica dentro una cultura che resta cultura popolare: “Vide le luci in mezzo al mare/penso alle notti lì in America/ma erano solo le lampare/e la bianca scia di un’elica” (ancora “Caruso”). Ma la poesia, non ci sono dubbi, non solo è metafora ma anche immagine.
Dalla ricerca degli “angeli” o dalla loro presenza sino al suo ultimo “Questo è amore” del 2011. Ma cosa farei se fossi un angelo? Parlerei con Dio, amandolo. C’è una donna con i lunghi capelli. Suona il piano. Una musica lieve tratteggia “Ulisse coperto di sale”. L’Ulisse – Dalla è nella poesia. Quella donna muove le sue mani nella leggerezza e canta: “Vorrei essere il vestito che porterai il rossetto che userai…”. È inutile dire non mi dimenticare. La vita è fatta di ricordante e di memorie perse.
Cliccando il link si può ascoltare uno dei suoi successi più grandi: