Sarà il dott. Giuseppe Tommasino a vagliare la richiesta di rinvio a giudizio formulata dal procuratore capo Franco Sebastio
Approda al vaglio del giudice per l’udienza preliminare Giuseppe Tommasino la richiesta di rinvio a giudizio formulata dal procuratore capo Franco Sebastio, dal procuratore aggiunto Pietro Argentino e dal sostituto procuratore Raffaele Graziano nei confronti di 29 persone, tutti dirigenti o ex dirigenti dell’Ilva di Taranto, coinvolti nell’inchiesta su quindici operai dell’Ilva deceduti dal 2004 al 2010 per malattia professionale. Quindici operai morti di lavoro.
Nell’elenco ci sono il patron Emilio Riva, suo figlio Fabio, il direttore dello stabilimento Luigi Capogrosso e poi coloro i quali hanno traghettato l’acciaio di stato nelle mani della famiglia Riva dal 1975 al 1995, anno della privatizzazione, compresi personaggi noti come Giorgio Zappa, attuale direttore generale di Finmeccanica, in forza all’Ilva dal 1988 al 1993 quale vice prima e direttore generale poi.
Ma quali sono i reati contestati? Per tutti è stato ipotizzato il disastro colposo e l’omissione dolosa di cautele sul luogo di lavoro, in quanto «omettevano nell’esercizio ovvero nella direzione dell’impresa, nell’ambito delle rispettive attribuzioni e competenze, di adottare cautele che secondo l’esperienza e la tecnica sarebbero state necessarie a tutelare l’integrità fisica dei prestatori di lavoro, in particolare impianti di aspirazione nonché sistemi di abbattimenti delle polveri-fibre contenenti amianto idonei a salvaguardare l’ambiente di lavoro dall’aggressione del suddetto materiale - si legge nel primo capo di imputazione - cancerogeno, nonché omettevano di far eseguire in luoghi separati le lavorazioni afferenti al rischio di inalazione delle polveri-fibre di amianto, unitamente ad altre adeguate misure di prevenzione ambientali e personali atte a ridurre la concentrazione e la diffusione delle polveri-fibre di amianto generatesi durante le lavorazioni a tutela dei lavoratori dipendenti dello stabilimento Ilva ripetutamente esposti ad amianto durante lo svolgimento di attività lavorative. In tal modo, e quindi in violazione della specifica normativa a tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, cagionavano il disastro costituito dall’insorgenza di malattie tumorali nei lavoratori dello stabilimento, e nello specifico, la conseguente morte dei lavoratori, tutti deceduti per aver contratto patologie eziologicamente correlabili con l’esposizione professionale all’amianto come il mesotelioma pleurico, il mesiotelioma peritoneale e il carcinoma polmonare».
Per i 15 operai deceduti (in un periodo compreso tra il 2004 ed il 2010) al centro dell’indagine viene poi, caso per caso, contestato l’omicidio colposo a chi, dei 29 imputati, rivestiva ruoli di responsabilità nel periodo nel quale il lavoratore ha prestato la sua attività al siderurgico. Per quanto riguarda i due rappresentanti della famiglia Riva, proprietaria ormai dal 1995 dell’acciaieria, sono due le morti oggetto dell’inchiesta.