I metalmeccanici hanno scelto di marciare perché a Taranto si devono scrivere capitoli nuovi, puliti
Ci vuole coraggio per le scelte difficili. Non esistono cambiamenti a impatto zero, comodi, condivisi, senza turbamenti. Taranto lo sta scoprendo mentre si decide del suo futuro. Perché è di questo che si sta parlando. Lo sa la città e lo sanno gli operai dell’Ilva, scesi in strada ieri in massa, per la seconda volta in pochi giorni.
I sigilli all’area a caldo del siderurgico, ordinati dal gip di Taranto Patrizia Todisco, chiudono una pagina di storia, di produzione di acciaio e di inquinamento.
Non si torna indietro. Non si può più far finta di niente: a Taranto ci si ammala e si muore per le emissioni tossiche della grande fabbrica del patron Emilio Riva, ora agli arresti domiciliari insieme ad altri sette tra dirigenti ed ex, tutti accusati di disastro ambientale. La Magistratura ha documentato una realtà insopportabile per i cittadini e per gli stessi operai, ha detto basta: o si interviene drasticamente adottando tutte «le misure tecniche necessarie per eliminare le situazioni di pericolo individuate dai periti chimici» o non ci sono margini di trattativa, si chiude.
La città sta pagando un conto carissimo, e quello che si temeva, quello che non si poteva dimostrare adesso è nero su bianco. E spaventa. Tanto i lavoratori quanto le loro famiglie.
Non poteva essere una manifestazione contro l’operato della Procura di Taranto e non poteva essere una sfilata di bandiere e di sigle a favore del padrone: i metalmeccanici hanno scelto di marciare perché a Taranto si devono scrivere capitoli nuovi, puliti. E i sindacati? Hanno organizzato lo sciopero di ventiquattro ore e la giornata di mobilitazione, ma i segretari nazionali di Cgil, Cisl e Uil (Camusso, Bonanni, Angeletti) e il segretario generale della Fiom – Cgil Maurizio Landini, sono riusciti a parlare a una piazza praticamente vuota. Dopo la contestazione del comitato spontaneo e apartitico “Cittadini e lavoratori liberi e pensanti”, che non accetta più di dover scegliere tra la salute e il lavoro, anche il resto degli operai ha lasciato Piazza della Vittoria: forse delusi dalle parole e dalle buone intenzioni che non hanno prodotto nulla in questi anni se non l’emergenza ambientale e adesso anche occupazionale. Dunque chiedono garanzie nel rispetto di chi vive qui, tra i due mari, e vogliono fatti concreti per vedersi riconosciuto il diritto al lavoro. I due cortei partiti da via Magnaghi e dal Ponte di Pietra in Città Vecchia, sono confluiti in pieno centro città: anche quando gli animi si sono surriscaldati è poi tornata la calma senza, per fortuna, alcun episodio grave da commentare.
Tocca adesso al governo proporre le soluzioni, quelle rimandate per anni e tirate fuori dal cassetto in fretta e furia, perché il ricatto non fa più paura, e la politica locale non può restare a guardare.
Chi parla di economia a rischio e ipotizza scenari catastrofici, dimentica le sofferenze del Mar Piccolo e della miticoltura, con intere famiglie di imprenditori del mare in difficoltà serie e nuovi disoccupati. A questi si aggiungono gli allevatori a cui sono stati abbattuti più di due mila capi di bestiame contaminati da diossina e le aziende fallite.
Aspettando l’esito del Riesame, la città si scopre unita. È questa consapevolezza che sta alimentando il desiderio di cambiamento, ma ci vuole coraggio per rovesciare il destino, da protagonisti.
Nicola Sammali