martedì 26 novembre 2024


18/08/2012 09:52:21 - Provincia di Taranto - Attualità

Da una parte, c’è la quotidianità di chi lavora in fabbrica e sceglie con coscienza e non senza amarezza di continuare a respirare ogni giorno diossina e polveri ferrose pur di preservare il posto di lavoro e dall’altra c’è invece chi piange ormai troppi morti per continuare a cedere al ricatto psicologico del colosso di Emilio Riva

 
Taranto. Venerdì 17 agosto. Il rumore delle prime saracinesche aperte in piazza Maria Immacolata fa da sottofondo al raduno dei ragazzi del comitato “Cittadini e lavoratori liberi e pensanti”, rappresentanti, dal 26 luglio, di tutta quella parte di popolazione che si dice favorevole al provvedimento del gip Patrizia Todisco relativo al sequestro senza facoltà d’uso degli impianti dell’acciaieria messapica.
Plausi alla magistratura, dunque, e dissenso nei confronti delle scelte della politica locale e regionale. Gli aderenti alla manifestazione tengono tutti a precisare, infatti, che non sono schierati con alcun colore politico e che non si sentono rappresentati dai nomi che fino ad ora hanno gestito la municipalità tarantina. Sono liberi cittadini, come dice il nome del comitato, che già da tempo lottavano contro i soprusi che alcune politiche scellerate colpivano alla loro terra e che aspettavano da troppi anni un provvedimento giuridico che permettesse loro di gridare le proprie ragioni ad un interlocutore che è la popolazione tarantina, prima, e l’Italia tutta, poi.
“Mi sveglio ogni mattina e respiro la diossina” diventa uno degli slogan della mattinata, cantata in cori da stadio ma impressa anche su magliette e stickers esposti da alcuni negozianti del centro per ricordare che non si tratta solo di una frase in rima ma di una realtà di vita quotidiana.
Dopo un minuto di silenzio per ricordare le vittime che il gigante dell’acciaio ha provocato a Taranto dal 1961, anno di nascita dell’impianto siderurgico nel capoluogo pugliese, dal palco di Piazza Immacolata parte un appello a tutti gli operai: “Non siamo contro di voi, agiamo per il vostro bene”.
Ecco che la questione del ricatto occupazionale è tirata in ballo. Questione controversa che divide la città e le posizioni della gente. Da una parte tutti coloro che, purtroppo, credono di non poter invischiarsi in polemiche troppo grosse e scelgono di non scegliere sancendo la mortificazione dei diritti del lavoratore, dall’altra, quelli che stanno prendendo coscienza della realtà letale che attanaglia il territorio e scendono in campo senza pensar troppo a quello che potrebbe essere un “dopo Ilva”. Giuste o sbagliate che siano, le giustificazioni di entrambi portano alla ribalta verità agghiaccianti. Da una parte, c’è la quotidianità di chi lavora in fabbrica e sceglie con coscienza e non senza amarezza di continuare a respirare ogni giorno diossina e polveri ferrose pur di preservare il posto di lavoro e dall’altra c’è invece chi piange ormai troppi morti per continuare a cedere al ricatto psicologico del colosso di Emilio Riva. Tra questi ultimi, erano presenti nella piazza uomini a cui l’Ilva ha tolto, e non dato, lavoro. Miticoltori, agricoltori, viticoltori e lavoratori agricoli di diverse categorie hanno preso la parola per raccontare le loro storie, testimonianze viventi del disastro ambientale che ha colpito la città di Taranto. Mitili da distruggere perché contaminati, bestiame da abbattere, vigneti caduti in disgrazia a causa dell’inquinamento delle falde acquifere; storie personali che, aggiunte agli appelli disperati di giovani genitori occupati a curare figlioletti ammalati di cancro, portano a riflettere sulla direzione presa, da ormai più di quarant’anni, dal capoluogo ionico.
Nel corso della mattinata piazza Immacolata è quasi piena e le ore corrono in fretta in un clima in cui la tristezza suscitata da racconti disperati si è trasformata in rabbia positiva. Grandi e piccini sono animati dalla convinzione, forse troppo utopistica, di “riprendere” Taranto, di strapparla dalle mani di tutti quelli Archinà che rappresentano ormai il malessere di una città in cui la trasparenza e il rispetto delle regole sembrano aver lasciato da troppo tempo il posto alla corruzione.
Oggi, una parte di Taranto, seppure piccola, è stanca di tutto questo e si schiera pacificamente con i magistrati. Un’altra fazione blocca le strade di scorrimento veloce che garantiscono l’ingresso alla città per manifestare il loro diritto al lavoro. Tra i pareri discordanti e chiassosi, è piacevole però fermarsi in un angolo e ascoltare con indifferenza le parole innocenti dei più piccoli, che rielaborano con assoluto disincanto frasi forse sentite dai più grandi: - “Però alla fine il nostro mare è il più bello di tutti”. – “Sì ma è sporco, papà mio ha buttato molte cozze quest’anno”.
 
Simona Perrone










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