I sindacati non sono però convinti del provvedimento di cassa integrazione che potrebbe riguardare 6.500 operai
In ossequio alla contrizione imposta dal momento, la Quaresima porta la cassa integrazione per 6500 operai dell’Ilva così distribuiti: 27 quadri, 675 impiegati, 380 equiparati e 5335 operai impiegati in tutte le aree dello stabilimento, sia quella a caldo che quella a freddo.
Il provvedimento che partirà dal 3 marzo, non riguarda solo Taranto, ma anche gli stabilimenti di Torino e quella di Patrica, seppur con cifre di operai coinvolti decisamente minime, circa 23 e 67 lavoratori. Il procedimento copre circa due anni dal 2013 al 2015, necessari per procedere alle opere di adeguamento previste nell’autorizzazione integrata ambientale rilasciata il 27 ottobre 2012 dal ministro dell’Ambiente Corrado Clini.
Paurose le cifre impiegate per la conversione in scala ecocompatibile del siderurgico: più di 2300 milioni di euro per investimenti su piano biennale che riguarderanno il reparto Cokerie. 860 i milioni di euro da destinare al recupero strutturale, tra nuovi impianti di controllo e raffreddamento e soprattutto da destinare ad un nuovo sistema chiamato “Coke dry quenching” per lo spegnimento del carbone coke e la riduzione delle emissioni in atmosfera (500 milioni); 300 milioni di euro dei quali 200 per la copertura dei parchi primari e secondari; 400 milioni di euro per la conversione degli altiforni 1 e 5.
Per ultimi, 425 milioni di euro per interventi definiti di carattere generale per i sistemi di monitoraggio ambientale dell’aria, la copertura e chiusura dei nastri trasportatori. Il procedimento di cassa integrazione, che non convince i sindacati per il numero di operai coinvolti, al momento non riguarda l’intero quadro operaio, seppur la cifra della manodopera indicata ai vertici Ilva resti altissima. Questi ultimi, tra l’altro dopo il sì del Gip Patrizia Todisco, sono impegnati nella vendita dell’acciaio depositato al porto dal 26 novembre 2012, ben un milione ed ottocentomila tonnellate, per un totale di ottocento milioni di euro che serviranno ad avviare i primi provvedimenti di adeguamento all’ambiente, e per scongiurare nuove class action di portuali o clienti per il deposito prolungato dalla materia prima sul porto o per la scarsa qualità del prodotto ormai in stato di deperibilità.
Speriamo che questa ultima pagina, per quanto dolorosa, possa essere foriera di un futuro più sereno per tutti, per evitare una catastrofe senza precedenti da aggiungersi alla crisi del nostro paese.
Mimmo Palummieri