Il 9 aprile prossimo si terrà l’udienza della Corte Costituzionale sulle questioni di legittimità della legge 231/2012 “salva-Ilva” sollevate dal Tribunale e dal gip di Taranto, che potrebbe rimescolare le carte
Non ci sono «particolari ragioni di urgenza» per vendere i prodotti finiti e semilavorati dell’Ilva sequestrati il 26 novembre 2012, e non c’è neppure un rischio concreto e impellente che quei prodotti si deteriorino.
Tra una ventina di giorni, il 9 aprile prossimo, si terrà l’udienza della Corte Costituzionale sulle questioni di legittimità della legge 231/2012 “salva-Ilva” sollevate dal Tribunale e dal gip di Taranto, che potrebbe rimescolare le carte.
Queste le ragioni per le quali il Tribunale di Taranto, in funzione di giudice dell’appello, ha accolto il ricorso dei legali dell’Ilva e ha annullato l’ordinanza del gip Patrizia Todisco del 14 febbraio scorso che autorizzava i custodi giudiziari a vendere i prodotti sequestrati, vincolandone il ricavato.
Ennesima decisione, quella del tribunale, su una vicenda che tiene banco da circa quattro mesi e che comunque mantiene una situazione sostanziale di stallo. La merce ammonta a 1.700.000 tonnellate circa; per l’azienda vale commercialmente un miliardo di euro, per i custodi giudiziari poco meno di 800.000 euro. Gli stessi custodi, dopo che il gip aveva emesso l’ordinanza, avevano cercato invano di avviare le procedure di vendita dei prodotti, che riempiono le banchine dell’area portuale.
L’azienda aveva subito fatto sapere di essere indisponibile a collaborare, ritenendo illecita sia la vendita della merce sequestrata sia il vincolo sull’incasso, che non sarebbe finito nelle casse dell'Ilva. Sono tre i motivi, per i giudici del Tribunale, che fanno «ritenere necessario (oltre che opportuno)» attendere la decisione della Consulta prima di commercializzare i prodotti dell'Ilva sequestrati il 26 novembre 2012.
I motivi sono i lunghi tempi tecnici per concretizzare la vendita, la mancanza di «occasioni prossime per realizzare un sicuro ricavo economico vantaggioso» e l’assenza di prova che i prodotti si stiano già deteriorando perdendo di valore. Del resto, concludono i giudici, non ci sono ostacoli ad una eventuale rivalutazione delle condizioni per procedere alla vendita giudiziaria dei prodotti, nel caso in cui la Consulta dichiarasse la illegittimità costituzionale delle norme della legge 231/2012. Così come, fa presente il Tribunale, se venisse dimostrata l’attualità del rischio di alterazione o deterioramento della merce sequestrata, si concretizzerebbe l’urgenza di vendere il prodotto anche nelle more della decisione della Consulta.
I riflettori sono tutti puntati a questo punto sul palazzo della Consulta, dove il 9 aprile i giudici della Corte Costituzionale esamineranno le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale e dal gip di Taranto Patrizia Todisco sulla legge 231/2012, più nota come 'salva-Ilvà. Norme che hanno consentito fino ad oggi all'Ilva di continuare a produrre pur con gli impianti dell'area a caldo sotto sequestro. La partita è tutt'altro che chiusa.